Ex moglie del regista Roman Polanski, la splendida attrice è famosa soprattutto per la sua tragica vicenda. Nacque il 24 Gennaio 1943 prima di essere trucidamente assassinata il 9 agosto 1969 dal pazzo omicida e satanista Charles Manson, in un caso che sconvolgerà l’America intera, la giovane attrice aveva dapprima fatto timidamente il suo ingresso nel mondo dello spettacolo, per poi cercare in tutti i modi di scalare in fretta i gradini che portano alla celebrità.
Deliziosa nell’aspetto e accattivante nei modi, aveva fatto il suo ingresso nei party “alternativi” dello show business (non dimentichiamoci che siamo pienamente nei floridi e “trasgressivi” anni ’60), grazie soprattutto alla protezione del produttore Ransohoff prima e di Roman Polanski poi, riuscendo peraltro a girare alcuni film importanti, film che rimarranno indubbiamente nella storia al di là della sua presenza (fattore che potrebbe indurre invece ad osservarli con occhio morboso).
Ad ogni modo, prima di approdare a Hollywood, Sharon lavorò come comparsa in alcuni film prodotti in Italia dove si diplomò nella scuola americana di Verona; una volta tornata in America, bruciate le consuete tappe della carriera televisiva (“The Beverly Hillbillies” dal ’63 al ’65) e conquistate le pagine della preziosa e leggendaria Playboy Magazine con una galleria di foto scattate da Polanski stesso, oltre a lavorare proprio accanto al futuro consorte in “Per favore…non mordermi sul collo”, Sharon apparve in “Valley of the Dolls” (l’interpretazione più importante, nel 1967, che le valse una nomination al Golden Globe) e “The Wrecking Crew” (1968) con Dean Martin.
La triste vicenda che la coinvolse fece il giro del mondo e a tutt’oggi non manca chi, a posteriori, vede quell’episodio come il simbolo dell’eclissi di una cultura (quella Hippie, per la precisione), se non di un’intera epoca, basata sulla trasgressione sistematica dei valori tradizionali e sull’emersione prorompente della cosiddetta “cultura giovanile”.
Ma cosa successe esattamente in quel tragico 9 Agosto del ’69? La ventiseienne texana Sharon, fra l’altro incinta di otto mesi, fu investita dalla furia di Charles Manson nella sua casa californiana, mentre era con un gruppo di amici: nessuno venne risparmiato e la carneficina si rivelò agli occhi degli investigatori particolarmente cruenta. L’efferatezza dell’atto risultò ancora più scioccante in virtù della serie di coincidenze, equivoci e “dietro le quinte” che lo avevano generato. Quel vero e proprio mattatoio, infatti, venne generato per via dell’odio che Manson aveva sviluppato nei confronti del figlio di Doris Day, Terry Melcher, colpevole di non aver mantenuto la promessa di pubblicare le canzoni scritte da Manson (sempre nel 1969 erano stati i Beach Boys ad inserire un suo pezzo, Cease to Exist, ribattezzato Never Learn Not to Love nel loro album 20/20). Era lui che, nelle intenzioni originarie di Manson e dei seguaci che quella sera lo seguirono (Manson aveva creato una sorta di comunità di sballati chiamata “Family”), doveva essere ucciso.
Tuttavia, il fatto che Melcher non vivesse lì da tempo non impedì agli invasati di uccidere appunto chiunque si trovasse nella casa. A Sharon furono inferti sedici colpi di pugnale, fu strangolata con una corda e il suo sangue utilizzato per scrivere “Pig” sulla porta d’ingresso. Altre esecuzioni illustri sarebbero seguite se Manson non fosse stato catturato: la sua personale “lista nera” comprendeva, fra le persone conosciute, anche Tom Jones e Steve McQueen.
Quanto a Polanski, quest’ultimo dichiarò sotto shock alla stampa che solamente un caso fortuito gli impedì di essere presente sul luogo della strage, essendo impegnato in Inghilterra per una produzione.
Sharon Tate fu la quintessenza della starlet anni sessanta ed impersonava la tendenza di una intera generazione: vulnerabile e briosa, la sua bellezza sfavillante incarnava lo spirito degli “swinging sixties”, uno stile di vita all’insegna della spensieratezza e della liberazione di tutti i taboo. Uno stile che poteva facilmente degenerare in eccessi, ed è questo che allarmò l’opinione pubblica, essendo Manson un frutto malato di quella “cultura”.
Quest’ultimo, ad esempio, era ossessionato da “Helter skelter”, una canzone dei Beatles che, pare, sia stata uno dei motivi ispiratori della strage (Manson affermerà che il testo in questione lo avrebbe ispirato). Egli intendeva accendere l’Helter Skelter, ossia scatenare il caos, il delirio. Una breve fiammata ditruttiva che ha portato molte persone alla morte e lui in un carcere a vita.