Dicono fosse un eccentrico e un visionario, un timido, sempre pensieroso e poco propenso alle chiacchiere…
Dicono fosse un centauro, meta’ fisico e meta’ matematico…
Dicono fosse un genio della statura di Galileo e Newton, dotato di quello che nessun altro al mondo ha, ma sprovvisto di quello che normalmente hanno gli altri: il semplice buon senso…
Scrivono fosse angosciato per aver compreso prima degli altri le spaventose complicazioni della fisica nucleare…
Dicono che avesse una voce velata, segreta, e che soffrisse soprattutto per mancanza d’amore…
Ettore Majorana… uno sconosciuto, uno straniero…
E’ stato forse il più grande fisico teorico del ‘900, e forse il più noto scomparso della storia dell’Italia contemporanea. La sua sparizione, quasi ottant’anni fa, non smette di produrre quesiti, dubbi, ricerche; le sue intuizioni e i suoi lavori scientifici sono oggi più attuali di quando furono pubblicati.
Il suo enigma, lungi dall’essere risolto, è diventato un paradigma di questioni scientifiche, politiche, morali, che agitano ancora la nostra società.
Attraverso documenti, immagini d’archivio, animazioni da graphic novel, testimonianze, documentario e congetture, il film scandaglia quel mare di mistero chiamato Ettore Majorana.
Ettore Majorana, geniale fisico teorico siciliano e docente presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Napoli, a soli trentuno anni scompare in circostanze misteriose il 26 marzo 1938. Qualcuno dichiara di averlo visto per l’ultima volta a bordo della nave che da Palermo fa rotta verso Napoli. E subito ha inizio la ridda delle ipotesi, delle congetture. Suicida? Rapito da potenze straniere? Fuggito dall’Italia? Ritiratosi in un convento?… Nell’affaire Majorana sembrano implicati scienziati atomici, servizi segreti, uomini politici, militari.
E il mistero s’infittisce, facendo emergere interrogativi e contraddizioni che spingono ad indagare tra le pieghe più nascoste la vita e la personalità del giovane fisico. Cosa è stato di Majorana? Come può uno scienziato considerato da Enrico Fermi dello stesso calibro di Galileo e Newton sparire nel nulla? Quale – ieri come oggi – la vera posta in gioco?
Tra documentazione e immaginazione – lungo la scia tracciata dalle approfondite ricerche di Francesco Guerra e Nadia Robotti intorno alla figura e all’attività di Majorana – Nessuno mi troverà cerca di rispondere cinematograficamente magari solo ad alcune di queste domande. Senza la presunzione di fornire certezze, com’è ovvio, ma senza neppure adagiarsi nelle comode incongruenze di un’immancabile quanto insoddisfacente “verità ufficiale”.
Perché occuparsi cinematograficamente di Ettore Majorana? Perché seguire ancora le tracce di un fisico le cui intuizioni dal sapore profetico sono state alla prova dei fatti sottovalutate se non proprio incomprese dall’establishment scientifico-culturale italiano (e non solo) dell’epoca?
Le risposte naturalmente possono essere molteplici, alcune di carattere oggettivo, altre dal taglio inevitabilmente soggettivo.
Ettore Majorana appartiene a quella generazione di uomini , nata agli inizi del XX secolo, che si è trovata ad affrontare in prima persona le grandi rivoluzioni scientifiche, tecnologiche e sociali dei primi cinquant’anni del secolo, le quali hanno dato luogo a quella che il filosofo e matematico austriaco Edmund Husserl (padre della fenomenologia) ha definito la crisi radicale di vita dell’umanità europea.
Analogamente al problematico comportamento di una misteriosa particella mancante chiamata neutrino – che egli stesso riuscì a predire nel 1937, in termini che solo ora si è in grado di sottoporre a verifica sperimentale – Majorana ha attraversato in un tempo estremamente ridotto l’intero secolo breve in tutte le sue ambizioni e le sue fragilità, pronto a pagare col suo spirito libero e indipendente un prezzo molto alto per difendere la propria dignità di scienziato e di uomo.
Buona parte della pubblicistica su Majorana, preferendo facili quanto superficiali scorciatoie, ce lo restituisce con un ritratto a senso unico come persona dall’anima sofferta, perennemente insoddisfatta, completamente assorbita e persa nei suoi studi. Verità più che parziali, a ben vedere. Majorana (il Grande Inquisitore, come veniva chiamato nell’ambiente dei fisici di via Panisperna) fu, è vero, uomo e scienziato tormentato e complesso, ma anche dotato di umorismo ingegnoso e sottile (forse troppo per chi lo circondava). Il suo maggior problema, semmai, in quanto uomo di scienza e intellettuale, consisteva nella gestione di una tensione esistenziale in cui la fisica appare come un’isola serena ma inadeguata. Il resto è mistero, chiuso e impenetrabile. Simile in questo a molti dei personaggi del cinema di Orson Welles, tutti di matrice shakespeariana, e – singolare coincidenza – si sa che Majorana prediligeva Shakespeare e Pirandello.
In questo senso, chi scrive ama rinvenire nella personalità di Majorana affinità e punti di contatto con il Charles Foster Kane di Citizen Kane – Quarto Potere, il Grigory Arkadin di Confidential Report – Mr. Arkadin, il Mister Clay di Histoire Immortelle. E, perché no, con la figura altrettanto geniale e misteriosa di uno dei giganti della musica moderna: Maurice Ravel.
In definitiva, quel che si vuole sottolineare è che al di là delle ipotesi – il suicidio in mare, la fuga in Argentina degna di un Mattia Pascal, la bomba tedesca e il delitto di stato, la crisi spirituale e il ritiro in convento – oltre ogni congettura resta l’inaccessibilità gentile di Ettore Majorana, la sua diversità isolana e aristocratica. “E come quella del neutrino la storia di Ettore è altrettanto elusiva”, ci ricorda Joao Magueijo nel suo appassionante libro A Brilliant Darkness… “Anche se scoprissimo con certezza ciò che egli fece, non sapremmo mai perché lo fece, che è una cosa di gran lunga più importante.”
Fiction, documentario, biografia, (contro)informazione e altro ancora, forse. Nel fare ricorso a un incrocio, a un’ibridazione di generi e mezzi diversi, il film intende porsi come un inconsueto oggetto narrativo ma dal solido retroterra espressivo.
L’idea di raccontare la vita e l’opera (e il mistero) di un uomo dal singolare destino attraverso tecniche e forme insolite non rappresenta di per sé una novità assoluta: nel graphic-journalism, ad esempio, è una pratica ricorrente. Ma è piuttosto inusuale nel cinema e in particolare nel documentario dove la commistione di segni e di linguaggi – almeno da Chris Marker in poi – è però sinonimo di grande vitalità.
In Nessuno mi troverà, la compresenza di sequenze in animazione per ricostruire i momenti principali della scomparsa di Ettore Majorana, alternate a immagini di repertorio, immagini originali, un certo numero di fotografie più alcune testimonianze fa saltare non solo la barriera tra il documentario e la fiction, il reportage e la confidenza, ma anche tra l’immagine registrata e l’immagine costruita, determinando stile e approccio visivo del film.
La scelta di raccontare le presumibili ultime ore del fisico siciliano con le più recenti tecniche di animazione digitale nasce dall’esigenza di effettuare una precisa e (accessibile) ricostruzione d’epoca e dalla volontà di adottare una soluzione che vada oltre la mimesi, creando pertanto uno stacco con la parte più documentaristica (anche se qui si preferisce parlare più di “un punto di vista documentato” che di documentario). Obiettivo finale è intrecciare immagini e testo per produrre le emozioni che di solito fa solo un film di fiction.
Così, in omaggio alle parole di Anatole Dauman – il produttore francese di Chris Marker – “finzione e documentario intimamente mescolati lasceranno aleggiare il dubbio sulla natura delle cose: il tragico e lo humour faranno causa comune”.