Azumi è elegante, poetico ed eccezionalmente violento. Un concentrato di cultura giapponese. Ciò che sfugge alla logica di una mente occidentale, viene plasmato e “tradizionalmente” riadattato da Ryuhei Kitamura sempre a suo agio quando bisogna incrociare le katane. In un Giappone feudale, vittima di lotte intestine per l’acquisizione del potere, l’illegalità trova terreno fertile per dilagare indisturbata. Mentre chi dovrebbe provvedere alla sicurezza del paese pensa ad eliminare i propri rivali, i criminali banchettano con i resti dell’impero. Un vecchio samurai salva da morte certa 10 orfanelli, crescendoli e addestrandoli all’arte dell’omicidio, per un importante scopo.
Azumi è una dei dieci bambini allevati dal “maestro”, è la più talentuosa, una ragazzina dall’aspetto dolce e minuto, che con una spada in mano diventa il più abile e spietato dei killer, pronta a tutto pur di adempiere la propria missione. Kitamura dimostra il suo talento districandosi tra velocissimi duelli e lunghe pause afone. Lo stile dei combattimenti, che rappresentava il tallone d’Achille di “Versus” (suo film d’esordio), in Azumi viene “essenzializzato” diventandone il punto di forza. Le spade non si toccano quasi mai, affondano repentine nella carne, vaporizzando nubi statiche d’emoglobina. Figlio di un’esigenza narrativa, dovuta all’eccessiva disparità di forze tra gli “assassini” ed i loro avversari, questo stratagemma rende i passaggi bellici per niente noiosi, eccezionalmente rapidi e copiosi di cadaveri.
Come la maggior parte delle produzioni “fantastiche” giapponesi anche questo film trae origine da un manga, di cui conserva lo stile fumettoso, con i pregi e difetti del caso. La regia di Kitamura è come sempre ambigua, nel senso che risulta difficile dare un giudizio oggettivo. Il suo stile è atipico, gli effetti digitali sono chiamati spesso all’opera, interagendo, alterando e destabilizzando la realtà, i personaggi sono caratterizzati all’estremo, fino a raggiungere il confine del ridicolo (pur non varcandolo mai). Tuttavia non si rischia molto se si afferma che Kitamura sia un buon regista.
Azumi, pur essendo concepito come un kolossal (in patria), non rappresenta (paradossalmente) un prodotto facilmente esportabile, causa le illogiche logiche di fedeltà e onore contemplate dal codice dei samurai che contribuiscono ad avvolgere la pellicola di uno spesso e cupo manto di nichilismo. In Azumi non ci sono buoni o cattivi, non esiste il bene o il male, si contrappongono fazioni che rivendicano (ognuno a ragione) i propri diritti. Non ci sono torti da vendicare, deboli da difendere, cattivi da uccidere, schierarsi dall’una o dall’altra parte è esclusivamente un atto di fede. Questa atmosfera esalta ancor più il lavoro di Kitamura che confeziona un piccolo gioiello di ritmo, estetica e poesia capace di non far pesare oltre modo i suoi 142 minuti di durata, che di sicuro Tarantino deve aver apprezzato…
Regia: Ryūhei Kitamura
Soggetto: Yu Koyama (manga)
Sceneggiatura: Mataichiro Yamamoto, Isao Kiriyama
Produttore: Toshiaki Nakazawa, Mataichiro Yamamoto
Interpreti e personaggi
Aya Ueto : Azumi
Shun Oguri : Nachi
Hiroki Narimiya : Ukiha
Kenji Kohashi : Hyuga
Takatoshi Kaneko : Amagi
Yuma Ishigaki : Nagara
Yasuomi Sano : Yura
Shinji Suzuki : Awa