Non capisco, proprio non capisco. A volte ci ostiniamo a comportaci nello stesso modo, nei confronti del “pericolo”. Penso che manchi il coraggio di vedere le cose per quello che sono, così come manca il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.
Perché non riusciamo a vedere la vera “natura” delle cose, delle persone e delle parole?. Dovrebbero essere i fatti, e non le “chiacchiere” a determinare la vera essenza delle persone. Dovrebbe essere la sostanza e non la forma a determinare la vera essenza delle cose. Dovrebbero essere i gesti quotidiani, quelli che si fanno senza pensare, il vero specchio di ciò che siamo. Dovrebbe essere un uso appropriato delle parole a fare la differenza, al fine di generare un linguaggio NON ad uso e consumo del furbo o dell’idiota di turno.
Alcune persone, “progettano” pensieri ed azioni per un proprio tornaconto, spesso “truccando” gli eventi per poterli utilizzare per i propri scopi. Sembra che “scoprire” la vera natura di queste persone, sia una sorta di “tabù” ed allora si preferisce “difendere e giustificare” certi comportamenti cercando di “sminuirne” la gravità o l’importanza, ma la “spazzatura” rimane sempre “spazzatura” e se la si tiene troppo vicino, se si se “respirano” i fumi tossici, finiamo per rimanere “intossicati” e poi da perfetti idioti, ci domandiamo cosa è successo.
Ci lamentiamo: “Non è possibile…” Eppure tutti i “sintomi” erano riconoscibili.
Per una sorta di “equità” non ben definibile e definita, pensiamo che sia errato “giudicare”. Il giudizio però, a differenza del pregiudizio, nasce da un’esperienza e quindi cosa ci rende “ciechi” di fronte alle esperienze che viviamo? Perché non vediamo il “male”, condito con una buona dose di “furbizia”? Soprattutto perché invece di elaborare un proprio pensiero, ci accodiamo? Perché diamo per buoni NON pensieri carichi di odio, tensione, razzismo?
Scegliere. Scegliere sempre, analizzando il Mondo che ci circonda, in modo critico e non accettando passivamente pensieri e comportamenti. Cercare le vere motivazioni che si “celano” dietro le azioni. Non chiudere gli occhi. Non turarsi il naso. Non voltarsi dall’altra parte. Si è complici sempre e comunque, anche quando rimaniamo “immobili”. Personalmente, non per buonismo, ma per convinzione, preferisco essere dalla “parte” al bene, ma non pretendo che il bene sia dalla mia parte… perché una “parte” bisogna pur averla… altrimenti si rischia di essere “senza arte, né parte…”