La storia, come molto spesso accade, è semplice: salito su un treno per puro caso, il detective Hercule Poirot si ritrova ad indagare su un terribile delitto compiutosi proprio tra quei vagoni. Un passeggero, infatti, è stato trovato morto nella sua cabina, accoltellato da un misterioso assassino che sembra proprio essere uno degli ospiti dell’Orient Express.
Kenneth Branagh, autore dagli altalenanti risultati ma dalla cieca fedeltà nei confronti di un’ambientazione e una regia sempre molto teatrali, si ritrova ancora una volta a coniugare la sua passione per il classico con la volontà produttiva di arrivare ad un pubblico di massa più vasto possibile. Il risultato è un prodotto ibrido in cui possiamo certo criticare le ben poco dinamiche e scricchiolanti scene d’azione (è complicato gestire l’azione su un treno fermo, soprattutto se il tema del racconto è un giallo classico, più mentale che action) e i poco curati effetti speciali (che non sono mai stati una prerogativa di Branagh, il quale predilige, tutte le volte che può, fondali dipinti e scenografie reali), ma del quale non possiamo trascurare i pregi, primo tra tutti la capacità di riuscire a far apprezzare un giallo “vecchia scuola” ad un pubblico contemporaneo, abituato a innumerevoli plot-twist e a frenetici montaggi.
Chapeau a Branagh anche per aver messo in piedi un prodotto in grado di strizzare l’occhio al passato e riportare in sala il gusto di una visione più anni ’90 che post-2010, grazie alla sua attenzione ai personaggi, ai suoi giochi di primi piani e al suo modo di utilizzare la macchina da presa per seguire i protagonisti, permettendo al pubblico di essere coinvolto nella storia e nelle dinamiche. Il regista non denigra nemmeno dolly, inquadrature dall’alto e delicati movimenti di macchina al fine di presentare gli spazi, ma anche di permettere il connubio perfetto tra teatro e cinema, quello a cui Branagh ci ha sempre abituato, che non ha mai dimenticato ma che ha purtroppo nascosto un paio di volte causa forza maggiore (ovvero sceneggiature imposte non perfettamente in linea con il suo spirito autoriale, se si pensa a Thor e a Cenerentola, ma anche, a tratti, al suo Frankenstein con Robert De Niro ed Helena Bonham-Carter).
Assassinio sull’Orient Express è dunque un film in grado di coinvolgere lo spettatore, destabilizzandolo e lasciandolo riflettere: brutta CGI, scene d’azione trascurabili, montaggio non frenetico, eppure perché mi è piaciuto? Perché, in un certo qual modo, Branagh sa ancora fare cinema, sa dare lezioni di grande intrattenimento e, soprattutto, sa cogliere dal teatro tutto quello che serve per catturare l’attenzione del pubblico, enfatizzando ogni tassello del suo mosaico attraverso lo strumento della macchina da presa, evitando, dunque, di filmare il teatro, plasmandolo invece a suo piacimento, nella maniera più adatta per offrirlo sul grande schermo.