Herbert Ferber. Scultura come metafora di un’idea

Titolo mostra
Herbert Ferber. Scultura come metafora di un’idea 

A cura di
Matteo Lorenzelli

Sede
Lorenzelli Arte Milano, corso Buenos Aires, 2

Periodo
15 febbraio – 30 aprile 2019

Inaugurazione
giovedì 14 febbraio 2019, ore 18.30

Orari
martedì/sabato, ore 10.00/13.00 – 15.00/19.00
Lunedì su appuntamento. Festivi chiuso

Ingresso
libero

Catalogo
Lorenzelli Arte n° 159

Come raggiungerci
Metropolitana 1 (rossa), fermata Porta Venezia
Tram: 9 fermata p.zza Oberdan
Passante ferroviario: Porta Venezia

Informazioni
+39.02.201914
Federica Minesso: federica@lorenzelliarte.com
www.lorenzelliarte.com

Lorenzelli Arte riprende la stagione espositiva 2018/2019 esplorando quel filone di ricerca che si prefigge l’obiettivo di porre l’attenzione su nomi talvolta dimenticati in Italia, anche se presenti nei più importanti musei del mondo, per riproporli allo studio della critica e alla visione del pubblico. La mostra che inaugura giovedì 14 febbraio è dedicata a uno dei principali scultori espressionisti astratti, Herbert Ferber (1906-1991), artista di fama internazionale, già attivo nella fervente New York degli anni Quaranta e Cinquanta.

Nel 1988 la Galleria Lorenzelli, nella sede di via Sant’Andrea, ospitò la prima personale italiana di Ferber. Oggi, nell’anno in cui Matteo Lorenzelli festeggia il trentesimo anniversario di attività di gallerista, vengono riproposte le opere dell’artista nelle sale di Corso Buenos Aires 2, creando la rara occasione in Italia di poter ammirare un maestro le cui opere sono collocate nelle raccolte dei più importanti musei del mondo fra i quali il MoMa, il Whitney Museum e il Guggenheim Museum di New York, la National Gallery di Washington e il Centre Pompidou di Parigi.

La rassegna presenta venti sculture e trenta disegni realizzati tra il 1952 e il 1985, anni della piena maturità dello scultore americano, mostrando al pubblico italiano l’acme della parabola artistica di uno degli attori fondamentali della “generazione eroica” di New York. Ferber, grande amico di Rothko, al quale era legato da convinzioni comuni nell’arte e nella politica, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale fu un importante membro della New York School, il gruppo di artisti americani che ha aperto la strada all’espressionismo astratto. Come Rothko, Ferber ha manifestato un costante interesse nella mitologia classica e nell’inconscio cercando di esplorare forme archetipiche e senza tempo secondo uno dei percorsi tipici degli artisti che composero la Scuola, autentico punto d’innesco della “nuova tradizione” cosmopolita, aggressiva, dalle plurime radici ma di autentica identità americana, che si fonda sulle basi dell’avanguardia storica europea e sulla memoria dell’antico.

Scultura come metafora di un’idea”, titolo della mostra, rappresenta un principio caro a Ferber secondo il quale la scultura deve avere la capacità di incarnare un processo mentale lucido e forte e quindi possedere valore di metafora che veicola qualità ideali astratte. Le sue sculture a partire dagli anni Cinquanta, dopo aver abbandonato completamente la figura, sono costituite da forme famigliari che vengono poi manipolate in composizioni quasi irriconoscibili.

Ferber trasforma gli elementi formali in qualità plastiche, connotate in quanto superfici modulate sensibilmente e cromaticamente attive, che al contempo valgono come grafie, linee-forza che fendono la volumetria interna della forma conferendole un nuovo dinamismo che le libera da legami gravitazionali e un senso di movimento dato dal perfetto bilanciamento di momenti e pause.

Del tutto autodidatta come artista, è riuscito ad impadronirsi magistralmente di ogni sorta di tecnica e procedimento. Anche i disegni, eseguiti in varie tecniche – dall’acquarello alla penna e all’inchiostro, dal pastello alla gouache e all’acrilico – su qualsiasi qualità di carta, ci offrono l’opportunità di una rilettura del suo lavoro. Modellando e “chiaroscurando” le forme, con l’utilizzo anche di scorci prospettici, Ferber nei suoi fogli più astratti riesce a comunicare il senso del volume e dello spazio.

Seguendo inoltre un’indagine incentrata sul percorso tra progetti, studi preparatori e opere finite, molti dei disegni esposti raccontano l’iter che porta alla realizzazione materica delle sculture presentate poiché mette in luce la fitta rete di scambi tra il processo creativo e la sperimentazione di un sistema espressivo.

La mostra è accompagnata da un catalogo (Italiano, Inglese) con le riproduzioni a colori di tutte le opere esposte.

BIOGRAFIA

Herbert Ferber nasce il 30 aprile 1906 a New York. Studiò dapprima presso il College of the City of New York (CCNY) e poi alla Columbia University. Dak 1927 al 1930 studia scultura presso il National Academy of Design e lo stesso anno si laurea in odontoiatria praticando la professione negli anni a venire. Dal 1931 realizza le sue opere scultoree prediligendo legno e pietra, e il 1936 segna il suo ingresso nell’Unione degli Artisti e la sua partecipazione al Primo Congresso degli Artisti Americani. Nel 1937 si tiene la sua prima mostra personale presso Midtown Galleries a New York, in questi anni la sua scultura è figurativa in linea con il suo pensiero politico e con i suoi interessi verso la mitologia classica e gli studi sull’inconscio. Nel 1940 entra a far parte di un gruppo di artisti anti-stalinisti – di cui facevano parte Ilya Bolotowsky, Adolph Gottlieb, Mark Rothko, Meyer Schapiro, David Smith e Bradley Walker Tomlin- assieme a cui fonda la Federation of Modern Painters and Sculptors. Da quest’anno in avanti inizia ad abbandonare il legno in favore di nuove sperimentazioni che gli permettono di investigare lo spazio in misura diversa portandolo ad essere elemento centrale delle sue opere. Dopo aver visto la mostra di Henry Moore nel 1945 prova ad utilizzare il cemento rinforzato. Passa poi al metallo saldato e così crea le sue prime sculture astratte dalle forme biomorfe in cui appare chiaro il suo ripensamento sull’iconografia archetipa che prende le mosse dal surrealismo storico. Nel 1950 entra a far parte del gruppo di artisti che saranno poi nominati The Irascibles in occasione di una protesta contro una giuria troppo conservatrice al Metropolitan Museum of Art ed è socio fondatore di The Club, un circolo di artisti che s’incontrano per discutere d’arte al Greenwich Village. Inizia la sua piena maturità artistica.

Nel 1951 il Museum of Modern Art acquista Portait of Jackson Pollock ed espone alla 1° Biennale di San Paolo del Brasile, alla mostra “Abstract Painting and Sculpture in America”, curata da Andrew Carnduff Ritchie, tenuta al Museum of Modern Art, e alla mostra, organizzata da Leo Castelli, “9th Street Show”. Nel 1952 porta a termine il suo lavoro per la B’nai Israel Synagogue (Millburn) e matura una più forte coscienza sull’importanza dello spettatore nel definire lo spazio dell’opera d’arte. Nel 1956 firma la petizione che si schiera contro il progetto per il Guggenheim Museum dalle pareti curvilinee di Frank Lloyd Wright . Dal 1962 al 1979 è Visiting Professor presso diverse prestigiose università: University of Pennsylvania, Philadelphia, Pennsylvania; Rutgers University, New Brunswick; Morse College, Yale University, New Haven; Rice University, Houston. Nel 1961 crea una delle prime istallazioni ambientali al chiuso presso il Whitney Museum of American Art di New York dal titolo Sculpture as Environment permettendo allo spettatore di entrare nello spazio interno della scultura stessa. Da allora, negli anni ’70 e ’80, continua a creare sculture su larga scala anche all’aperto. Nel 1962 si tiene la sua prima grande retrospettiva presso il Walker Art Center di Minneapolis

Nel 1991 muore a North Egremont.

L’ALCHIMISTA NON percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille). La sua forza sono iscrizioni e contributi donati da chi ci ritiene utile.