Non erano rivolte figlie della voglia di libertà e democrazia dei giovani arabi e musulmani, ma insurrezioni islamiste pagate dal Qatar e garantite dal beneplacito di un’amministrazione Obama pronta a puntare sulla Fratellanza Musulmana per tornare a contare in Medio Oriente.
Dieci anni dopo l’unica vera eredita sono il caos di intere nazioni e le centinaia di migliaia di morti. Mentre l’Europa continua a fare i conti con la minaccia del terrorismo e la pressione dei migranti.
Le hanno chiamate “primavere arabe”, ma sono state uno dei più grandi inganni della storia. Cominciarono con un morto e una fiaba. Dieci anni dopo la fiaba si è dissolta. Al suo posto rimangono la tragedia del terrorismo e di centinaia di migliaia di vite sprecate, il dramma di milioni di profughi dimenticati e di intere nazioni precipitate nel caos.
Inizia tutto nella cittadina di Sidi Bouzid, 270 chilometri a sud di Tunisi. Lì, la mattina del 17 dicembre, si consuma la vita del 26enne Mohammed Bouazizi. Dietro quella morte non c’è nulla di politico, nulla di religioso. Solo la banalità di una multa inflitta per l’ennesima volta ad un disperato venditore ambulante privo di licenza. Ma quella multa in breve accende un rogo. Mohammed Bouazizi disperato per l’accanimento delle guardie comunali si cosparge di benzina, si da fuoco davanti al municipio. Non muore subito. Da lì al 4 gennaio la sua agonia accompagnata da manifestazione e proteste raggiunge Tunisi.
A documentarla passo dopo passo, ci pensano le telecamere di Al Jazeera, la tv dell’emiro del Qatar. Ma del ruolo giocato dai notiziari di un’emittente presente, sin dalla fine degli anni 90, in ogni casa del mondo arabo e musulmano nessuno parla. Molto meglio la sdolcinata fiaba di una gioventù araba e musulmana affamata di democrazia e prontissima a cercarla su Facebook e Twitter. Ma dimenticare Al Jazeera serve soprattutto a celare il ruolo di una Fratellanza Musulmana e sponsorizzata dal Qatar impegnata, in quei giorni, a spostare dimostrazioni e proteste dalla periferica Sidi Bouzid alla capitale Tunisi. I suoi leader come l’egiziano Yusuf Al Qaradawi famoso per auspicare la conquista musulmana di Roma, vivono e predicano dall’esilio di Doha. Da lì incoraggiano i militanti tunisini ad agitare le piazze a trasformare Tunisi in un’immensa platea di rabbia. Fino a quando al dittatore Ben Ali, al potere da 34 anni non resta altro che la fuga.
Ma i soldi del Qatar, la forza comunicativa di Al Jazeera e l’organizzazione della Fratellanza poco potrebbero senza l’appoggio dell’amministrazione Obama. Washington, dopo aver assistito senza muovere un dito alla caduta di due alleati come Ben Ali e Hosni Mubarak, interverrà direttamente per favorire la caduta di Muhammar Gheddafi e tentare la cacciata Bashar Assad. Anche qui i soldi del Qatar giocano un ruolo fondamentale. Come si scoprirà nel 2014 quando verranno alla luce i finanziamenti garantiti da Doha la Brooking Institution, uno dei più influenti think tank democratici lavora con l’emirato sin dall’indomani dell’11 settembre e affida le principali analisi sul medioriente alla sua sede di Doha.
Quelle analisi suggeriscono di puntare sulla Fratellanza Musulmana per garantire agli Stati Uniti il consenso e la fiducia perse dopo l’invasione dell’Iraq. Ma il suggerimento sorvola sull’incompatibilità tra democrazia e legge del Corano. Un incompatibilità stridente visto che la “sharia” è per la Fratellanza l’unica legge in grado di regolare società e Stato. Un dettaglio ignorato non solo da Washington, ma anche dalla maggior parte dei giornalisti che documentano sorpresi e ammirati le rivolte capaci di far cadere Ben Alì e di contagiare, subito dopo, Egitto, Libia e Siria. In tutte quelle sollevazioni il principale ostacolo al presunto cammino verso democrazia e libertà auspicato da Washington è proprio la presenza dei militanti fondamentalisti pronti, da Tunisi a Tripoli, dal Cairo a Damasco a riempire le piazze al grido di Allah Akbar “Allah è grande”. Un grido che solo pochi mesi dopo accompagnerà migliaia di sgozzamenti e decapitazioni rituali e seminerà il terrore dalla Siria al Sinai.
Oggi a dieci anni di distanza la Tunisia è l’unica protagonista delle primavere arabe risparmiata dal caos e dall’abisso fondamentalista. Ma ben 4mila dei giovani tunisini dipinti dalle cronache dell’epoca come assetati di libertà e democrazia hanno scelto poi di combattere e morire nel nome del Califfato. E ancora oggi le cellule di matrice tunisina sono una delle componenti nazionali più numerose all’interno dello Stato Islamico e rappresentano una minaccia costante per il paese. Un paese minato anche dallo scontro tra Ennahda, il partito della Fratellanza Musulmana, guidato dal presidente del Parlamento Rached Ghannouchi e le altre forze istituzionali furiose per l’influenza che Qatar, e oggi anche la Turchia, continuano ad esercitare attraverso la formazione fondamentalista.
Comunque meglio la Tunisia che altri paesi dove le illusioni di democrazia e libertà accese dalle “primavere arabe” si sono trasformate in tragedie. L’Egitto dove il ricercatore italiano Giulio Regeni è morto seviziato da un gruppo di agenti sei servizi segreti è, in fondo, figlio di quelle illusioni e dello scontro tra islamisti e militari generato dall’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani. Per non parlare del caos in cui è precipitata la Libia dopo la caduta e l’uccisione di Gheddafi ottenute grazie all’intervento militare della Nato. O degli orrori disseminati da uno Stato Islamico cresciuto grazie anche agli appoggi garantiti dall’amministrazione Obama e da paesi come Francia e Gran Bretagna all’insurrezione islamista in Siria. Illusioni ed errori terribili di cui, a dieci anni di distanza, non siamo ancora in grado di quantificare il costo in termini di distruzione e di vite umane. Errori che ci costringono a fare i conti sul versante turco con le ondate di profughi generate dal confine siriano e sul versante libico con quelli provenienti da continente africano. Il tutto mentre il terrorismo islamista continua, nonostante la sconfitta dell’Isis, a tenere sotto scacco l’Europa.
E così l’unica vera eredità delle primavere arabe resta quella promessaci da Muhammar Gheddafi pochi mesi prima di venir deposto e ucciso. “Ora ascoltate popoli della Nato – scrisse il Colonnello in una lettera pubblicata l’11 maggio dal quotidiano russo Zavtra – state bombardando il muro che fermava i migranti africani e i terroristi di Al Qaida. Quel muro si chiama Libia e voi lo state distruggendo. Siete degli idioti e brucerete all’inferno”. Dieci anni dopo quella di Gheddafi resta l’unica amara verità sopravvissuta al miraggio delle primavere arabe.