-Cosa ti ha spinto verso la musica?
Credo di aver ricevuto l’imprinting dell’amore per la musica, come molti di noi, da bambino. Le mie sorelle ascoltavano ottima musica all’epoca. Ricordo Aerosmith, Battiato, Depeche Mode, Elio e le Storie Tese. Questo come ascoltatore. Invece, per quanto riguarda l’esperienza come musicista, i miei genitori mi proposero di suonare il pianoforte, perché, guarda caso, un’insegnante abitava nell’appartamento di sopra. E io accettai.
-Raccontaci un po’ del tuo percorso artistico…
Tornando al pianoforte, non è stato subito vero amore, infatti ho abbandonato gli studi dopo appena un anno, e di infarinatura accademica ho poco o niente. Non mi piaceva studiare, gli esercizi tecnici, la teoria. Ma dopo una breve pausa mi sono riavvicinato allo strumento, suonando cover delle mie band preferite, a orecchio. Ed è cambiato tutto. Praticamente dei 16 anni in cui ho suonato il pianoforte, 15 sono da autodidatta. Oggi picchio molto i tasti, magari non benissimo ma con tanta passione, e canto anche. Al liceo ho avuto le prime band adolescenziali, dove cantavo o suonavo la batteria. Non sono mai stato un animale da palcoscenico a differenza di tanti miei amici che ci hanno creduto molto e hanno avuto le loro soddisfazioni, però cantare su un palco – o comunque in pubblico – è un’esperienza bellissima che consiglio a tutti. Magari potete fare il karaoke il venerdì invece di mettere su una band, alle brutte.
L’attività che mi ha tenuto impegnato costantemente è stata però la composizione elettronica. Cominciai a 12 anni, quando mia sorella portò a casa la prima DAW. È la mia vera passione creare. L’impianto della mia musica è sempre stato elettronico, con influenze dai miei gruppi preferiti (Massive Attack, Portishead, Depeche Mode, Tricky, Hooverphonic…), ma ho sempre cercato di inserire nelle composizioni altri strumenti più caldi e tradizionali, come il pianoforte, la chitarra classica (imbracciata solo di recente, marginalmente), percussioni e alcuni strumenti più “esotici” come kalimba e steel tongue drum. È nato così il progetto Runaway Horses, nome che ho scelto solo nella primavera del 2019, ma prima di allora ho pubblicato diverse tracce semplicemente come Andrea Morana.
-Cos’è la musica per te?
Amore, energia, connessione, un modo per comunicare oltre spazio e tempo se ci pensate. Per me è anche un rifugio, dove posso sentirmi affascinato, determinato, viaggiatore. Mi riporta al passato, quando ascolto; mi proietta al futuro quando mi cimento in un progetto.
-Parliamo della tua ultima fatica, come nasce?
Blacksmith nasce dalla necessità di tirare un po’ le somme, tracciare una linea sul percorso fatto finora. Mi ero reso conto che un progetto coeso e rappresentativo mi avrebbe aiutato a determinarmi meglio come artista. Non è un concept album, non è impegnato, non vuole lanciare un messaggio se non “questa è la musica che vi porto”: infatti in copertina trovate un alfiere, che è il portainsegna, come a dire che è un album che si fa carico di far conoscere la mia proposta musicale al pubblico. Ho cominciato a pensare a Blacksmith nell’estate del 2019, praticamente subito dopo aver scelto il nome Runaway Horses. Da allora diversi pezzi si sono aggiunti a quella che poi sarebbe stata la tracklist definitiva, altri invece sono stati lasciati fuori, con un po’ di rammarico. Vedete, ad alcuni pezzi sono molto affezionato e voglio dargli una certa dignità: a volte è una questione di non essere pronti, di non avere i mezzi per comunicare la propria visione interiore. Crescendo e maturando come artista, sarò pronto a presentare certi pezzi nella loro versione definitiva. Per il resto, cosa mi ha portato Blacksmith? È stata un’esperienza estremamente gratificante, soprattutto nella collaborazione con altri artisti, ma anche un modo per confrontarmi con le sfide e le difficoltà che si porta dietro una pubblicazione: affascinante scoprire questo mondo in prima persona.
-Perché i nostri lettori dovrebbero ascoltare la tua musica?
Consiglio la mia musica ai lettori nella speranza che per loro rappresenti qualcosa di fresco e nuovo nella sua formulazione, ma al tempo stesso ricco di richiami ed echi dal passato. Mi piace pensare di averla scritta usando lo stesso linguaggio che negli anni 90 ci ha regalato tante perle, che ha tracciato un cielo di meraviglie musicali. Credo che chi mi ascolta troverà più d’una strizzata d’occhio ai propri artisti del cuore e magari richiami ai propri generi preferiti che non siano necessariamente figli dell’elettronica. Sarebbe il massimo per me se, nell’ascoltare, sentissero in qualche modo di rivivere la magia di quel decennio.