Ogni canzone è una tappa, una stazione per la quale passare, non per fermarsi, ma per bagnarsi in nuove fonti sonore, non necessariamente guidati dalla bussola, ma dalle proprie percezioni. Da qui, non risulta difficile, appena bagnate le labbra sensoriali dopo il primo sorso di quest’ampolla psichedelica (“In fragile Stato”), avvertire che tutto lo spazio intorno si smaterializza, diventa più fluido e armonioso.
Come in ogni viaggio che si rispetti, non mancano attimi di disorientamento in cui soffermarsi a riflettere (“La solitudine di Cerbero”) e l’incedere dei passi si fa più pesante (“Il velo di Grazia”). Ed è proprio da qui che si rinasce più profondi e più determinati (“Persuaso”) per ripartire in un’atmosfera ora diversa; permeata da una nuova percezione, più realistica e meno illusoria. Ci si ritrova nel bel mezzo di un ingorgo (“Traffic jam”) in cui è martellante il disagio quotidiano, scandito dal percuotere incessante dei clacson. Alzando lo sguardo si notano gli alti palazzi della città post-moderna – dominati da casermoni e fatiscenti capannoni industriali appena sgomberati dagli ultimi rave notturni – nei quali ci si appresta a cominciare la giornata in cantieri che lavorano a rilento (“Autumn leaves”) mentre generazioni di giovani presidiano centri per l’impiego ormai chiusi.
Il sound dell’album è alquanto originale: dinamiche dal sapore vintage (kraut, prog e psichedelia) si fondono in una miscellanea in cui post-punk e wave sono i pilastri portanti.
I testi prendono forma da momenti di lirismo psichedelico, ermetico e simbolico, o dalla vita quotidiana imbevuta di esperienze sensoriali in cui la sfera interiore e sociale incontrano una propria dimensione poetico-filosofica.