Dopo la decisione della Corte di Giustizia dell’Ue, che aveva bocciato le norme che prevedono il “reato di clandestinità” e quindi il carcere per il clandestini, interviene la Cassazione che applica retroattivamente l’abrogazione della legge italiana con la conseguenza che per i clandestini non può esservi né condanna né carcere e gli effetti sono retroattivi
Già subito dopo la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che con l’importante sentenza “comunitaria” nella causa C 66/11 Ppu di qualche giorno or sono aveva ritenuto incompatibile con la normativa comunitaria la legge incriminatrice di cui all’articolo 14, commi 5 ter e quater, del D.lgs. 286/98, nota come legge sul “reato di clandestinità” e perciò inapplicabile, interviene la Corte di Cassazione che ratifica di fatto l’ennesimo fallimento di questo governo anche per le scelte scellerate in materia di politiche migratorie. Così Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”che rileva come la decisione abbia di fatto travolto, a questo punto, le sentenze di condanna precedentemente assunte.
Secondo la prima sezione penale della Suprema Corte, infatti, all’indomani della citata decisione dei giudici comunitari, quello italiano deve disapplicare le disposizioni che prevedono la reclusione per i migranti irregolari che non hanno obbedito all’ordine di lasciare l’Italia (fino a quattro e cinque anni di carcere, a seconda delle ipotesi), ed in particolare va sottolineato che gli imputati devono essere assolti anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore la direttiva rimpatri (2008/115/CE), ossia al 24 dicembre 2010.
Gli ermellini hanno ritenuto sul punto che con il principio espresso dai colleghi UE vi sia stata una sostanziale abolitio criminis ed ha sancito l’assoluzione degli imputati con la formula «il fatto non è previsto dalla legge come reato».
Nelle tre fattispecie prese in esame dagli ermellini nell’ordine, per quanto riguarda la prima, è stato rigettato il ricorso del procuratore generale contro la sentenza di proscioglimento ex articolo 129 Cpp (“Obbligo dell’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità”) nell’ambito di una vicenda in cui la fattispecie contestata è quella più grave del comma 5 quater dell’articolo 14 del D.lgs. 286/98; nella seconda, ha ritenuto che la sentenza di applicazione di patteggiamento ex articolo 444 c.p.p. deve essere annullata senza rinvio, con ciò rilevandosi che la decisione dei giudici europei va applicata anche nei casi di precedente applicazione della pena su richiesta delle parti; nella terza ipotesi affrontata dai giudici di piazza Cavour la decisione della Corte UE prevale anche sull’intervenuta rinunzia al ricorso, facendo scattare l’annullamento senza rinvio della sentenza che applica la pena ex articolo 14 comma 5 quater del D.lgs. 286/98.
Giovanni D’AGATA