Il gioco degli specchi propone un ritratto della società italiana dal 1945 al 1983. Il ritratto si fonda su un interrogativo: la società italiana ha visto nel cinema un luogo conveniente, dove riconoscere, scoprire, interpretare le proprie caratteristiche specifiche, i tratti vivi e distintivi? In breve, la vita nazionale risulta fedele all’immagine proveniente dallo schermo cinematografico, oppure caparbiamente sfasata, in avanti e indietro, in anticipo e in ritardo, rispetto alla raffigurazione provocata dal cinema?
La risposta sta in un tenace, profondo gioco di specchi fra il dispositivo cinematografico, nella sua interezza, e il tessuto sociale, nella sua complessità.
Svolte cruciali della storia repubblicana si intrecciano alle immagini di volti e luoghi noti, con effetti diversi sul loro senso: è il caso di due dei nomi più ricorrenti, Pier Paolo Pasolini e Aldo Moro, di cui i rapidi tagli dei cinegiornali – talvolta superficiali e derisori – descrivono con paradossale precisione la drammatica parabola. O come la maschera di Totò, immortalato all’uscita dalla cabina elettorale, meno teatrale e più discreto di alcuni uomini di potere. Le premiazioni del mondo del cinema, solenni e rituali, si alternano a interviste e dibattiti su importanti questioni sociali, che strappano il sorriso.
La censura e il permissivismo, la chiusura dei cinema, il ruolo della donna, la crisi economica, una democrazia sempre troppo giovane e una classe politica antica, addirittura l’arrivo della Cina sulla scena internazionale, sono questioni aperte, che per un curioso rovesciamento di prospettiva, si scoprono vive e attuali da più di cinquant’anni.
Nell’abisso dello specchio, resta infine la verità di altre immagini: la Magnani a una prima cinematografica; Sordi che doppia se stesso; la timidezza dei giovani protagonisti del Posto di Olmi; una frase di Germi su un suo film, buona per descrivere qualcosa di più: “è strano, abbiamo riso tanto e siamo spaventati”.
Questo, è il gioco degli specchi, tra cinema e vita nazionale. Il punto di vista narrativo del film è l’occhio del carattere nazionale, che per un attimo si tira fuori dallo spazio sociale e lo guarda come se si trovasse al cinema.