Non sofisticata, non bella, orgogliosa e povera, ha varcato i confini drammatici della Sicilia di un tempo, con la sua opera. Una terra che sanguinava dolore e lacrimava speranze; una terra dalla quale in molti fuggivano per terre lontane e meno lontane.
Lei e il suo sentire antico, accompagnato, modulato, raccontato dalla sua voce potente e drammatica.
Rosa Balistreri, un’artista che ho scoperto da poco tempo e che sfortunatamente da alcuni anni non è più tra noi.
Ascolto le sue canzoni, in alcune serate particolari. Oggi è la notte del 28 maggio 2006, fa molto caldo nella mia città… c’è una lieve brezza… sono davanti al mio pc, con la musica come sottofondo, la finestra spalancata e la luce spenta. Ascolto la strada, ascolto Rosa… cerco di percepire lo scopo caoticamente preciso di un’esistenza… mi lascio trasportare nelle campagne assolate o in riva al mare… nelle cella di un carcere o nelle case della povera gente… la salsedine corrode i miei pensieri, il sole scurisce la pelle della mia anima, mentre il canto senza tempo di Rosa, affonda le sue radici nelle mie immagini.
Che meravigliose canzoni… l’arte che incontra la civiltà, trasformandosi in pura vita… storie di desideri mai avverati, sogni concreti tra paure radicate e rabbia… “canzuni” tese come preghiere gridate al cielo, schiette e non ossessive come le cantilene in una Chiesa.
Rosa, il cuore angosciato e arso, come la sua terra, la Sicilia… ma un cuore capace di dare ancora dei frutti.