“Un gesto estremo, che dovrebbe far riflettere tutti su cosa puó significare per una persona veder distrutti i propri progetti, infranti tutti i sogni di futuro a causa di un pezzo di carta che, con la freddezza del linguaggio burocratico, dispone l’allontanamento dal paese in cui si era deciso di tentare l’avventura della vita”: cosi’ Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, commenta il gesto disperato del giovane ivoriano che si e’ dato fuoco a Fiumicino.
“Un gesto non dettato da un impulso momentaneo – precisa Miraglia – ma preparato chi sa dopo quali sofferte riflessioni.
Nella borsa il ragazzo aveva una tanica di benzina e prima che riuscissero a fermarlo si è dato fuoco, preferendo una morte atroce piuttosto che tornare nel paese da cui era partito carico di speranze. Non è morto, per fortuna, ma chissa’ se risvegliandosi all’ospedale ancora vivo e ricoperto di ustioni per lui sarà possibile pensare la stessa cosa”.
“Nel nostro paese, nonostante la direttiva rimpatri preveda misure meno coercitive e strumenti che favoriscano la collaborazione dell’interessato – prosegue Miraglia – si continua coi rimpatri forzosi per chi non è in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Eppure è ormai ampiamente dimostrato dai fatti che con l’attuale legislazione sull’immigrazione in Italia è impossibile entrare legalmente, visto che il meccanismo della chiamata a distanza è irrealizzabile”. “Serve una svolta profonda, nelle politiche sull’immigrazione e nella cultura che finora ha reso possibile tanta ingiustizia. Perch‚ non succeda mai piú” conclude.
fonte aduc