Proseguo la mia ricerca su alcuni personaggi femminili, italiani, che hanno svolto un ruolo importante in terra maghrebina. Oggi è la volta della scrittrice francofona, umanista, ricercatrice e antropologa Elisa Chimenti. Originaria di Napoli, si esilio’ con la famiglia, prima a Tunisi poi in Marocco. Non ci sono date certe sul suo arrivo a Tangeri, si presume nei primi anni del 1890. Il padre Rosario, medico reputato e illustre, accolse l’invito del Sultano del Marocco, Moulay El Hassan (Hassan I) è divento’ medico di corte. Bisogna tenere in considerazione il periodo storico dell’arrivo in Marocco della famiglia Chimenti; il paese era pressato dalle esigenze delle potenze straniere e sull’orlo della perdita della sua indipendenza. “Ogni tentativo di aprirsi al commercio per arricchire il Paese si trasformava in un enorme sviluppo economico per le potenze straniere presenti sul territorio“, constata lo storico Charles Andrè Julien. Da qui lo sforzo del governo marocchino di combattere lo sviluppo di tutti i commerci con i cristiani. Ricordo anche il privilegio voluto dal regime di protezione del 1767 che permise agli stranieri, e ad alcuni soggetti marocchini, dei vantaggi d’ordine legislativo, giudiziario, fiscale e amministrativo che si trasformarono presto in abusi e in destabilizzazione economica, a discapito della popolazione. Inoltre, venne creato a Tangeri, una rappresentazione diplomatica (naïb el soultan) che mirava all’annullamento del potere nelle mani del Sultano. In definitiva, malgrado gli sforzi di Hassan I e del sostegno degli inglesi, i francesi vollero dare al protezionismo una svolta internazionale. All’inizio del secolo i predatori finanziari erano sul posto. Il Marocco era alla vigilia del Protettorato ed era’ quindi in un paese economicamente debole e scosso da lotte tribali interne che i Chimenti arrivarono. Il padre svolse un ruolo fondamentale nello sviluppo della Chimenti diventando ai suoi occhi il modello insuperabile di vita. Mori’ a causa di un avvelenamento accidentale ma resto’ sempre la figura più importante per la figlia, donandole quella fibra umanistica ben presente nell’essere della scrittrice. La giovane crebbe con idee forti di emancipazione, libera e moderna in un contesto difficile, anche per un europea. Elisa Chimenti non si poteva definire bella: piccola, bruna, seppe pero’ accappararsi l’attenzione degli uomini e delle donne grazie all’energia formidabile che trasmetteva con la sua persona. Piena di interessi, incarnava la gioia di vivere. Curiosa delle cose della vita, non cesso’ mai di capire, mostrando delle capacità intellettuali fuori dal comune. Le frequenti uscite con il padre nella zona del Rif le permisero di approfondire la sua etica e di approcciarsi alle popolazioni indigenti che incontro’ nei suoi percorsi. Più tardi intraprese l’organizzazione di un canale di solidarietà nella città di Tangeri, fondando delle associazioni che aiutavano le donne lavoratrici. Si adatto’ ammirabilmente alla società tangerina, frequentando nello stesso tempo tutte le categorie sociali, sia cattoliche che musulmane o ebree. Elisa fini’ per incarnare una sorta di simbolo o di ideale interculturale. Si vestiva alla moda europea ma all’occasione portava il velo musulmano, convinta della sua appartenenza a diverse identità ben definite. In effetti tutto porta a pensare che malgrado le sue differenze culturali, sociali e religiose, la giovane ragazza aveva conquistato, grazie anche all’aiuto del padre, tutti i tangerini. Il vibrante omaggio reso da Abdelhamid Bouzid è significativo: “Elisa Chimenti non era solo una italiana, perchè era nei fatti una marocchina, una tangerina (…) La nazionalità non è sempre quella scritta dall’Amministrazione sul nostro passaporto, è piuttosto quella di un gruppo umano che ha scelto di vivere, condividendo gioie e dolori, cercando di comprendere e realizzando gli ideali della nostra esistenza. Elisa Chimenti è stata tutto questo e noi marocchini reclamiamo la sua tangerinità”. Poliglotta (parlava perfettamente una decina di lingue), Elisa Chimenti fu sempre attratta dalla didattica e dalla pedagogia. Fondo’ nel 1914, con sua madre, la prima scuola italiana frequentata da allievi cristiani, musulmani e israeliti. Guidata dall’amore per l’insegnamento e grazie alle sue conoscenze profonde sull’Islam, la giovane donna fu ammessa alla scuola araba, percorso iniziatico di una anima avida di trascendenza e assoluto. Ci sono diversi modi per entrare nelle opere complesse di Elisa Chimenti. per alcuni si tratta di un repertorio della letteratura coloniale ma non è corretto paragonarla allo sguardo impressionista di un Pierre Loti che si accontento’ di un rapido viaggio in Marocco descrivendo semplicemente gli aspetti esotici e null’altro. Elsa Chimenti fu l’iniziatrice di una nuova corrente letteraria, che si avvicina a François Bonjean o ad Ahmed Séfrioui. Dopo aver lungamente frequentato i luoghi marocchini ella poté ancorare la sua scrittura nel territorio, analizzando, con oggettività, l’anima e i valori del Marocco più profondo. L’opera inedita dei “Piccoli bianchi marocchini” (nome dato agli europei residenti in Marocco all’epoca), traccia l’itinerario d’Elisa Chimenti e degli europei installatisi all’inizio del secolo scorso a Tangeri, “autentificando questo sguardo interiore” secondo Jean Déjeux, lo “specialista” della letteratura maghrebina riconosciuto a livello internazionale. Elisa Chimenti ha pubblicato diverse opere tra cui “Eve marocchine” (1935), “Canti di donne arabe” (poesie), “Leggende marocchine” (1959), “Il sortilegio” (1964). “Al cuore dell’Harem” (1958), suo primo romanzo, merita un approfondimento. Con una scrittura lineare e un senso sviluppato del dettaglio, numerose storie di donne sono presenti nel libro, raccontati dalle due principali protagoniste; Si Boujemaa e Lalla Sakina. Carico di aforismi e di poesia, la scrittura di Elisa Chimenti ha inaugurato un nuovo genere nella letteratura: il romanzo-poema. Molti romanzi maghrebini contemporanei si iscrivono in questa fisionomia, smarcandosi dal romanzo classico. I temi, simili ai grandi leit-motif musicali, si articolano attorno alla vita quotidiana delle coppie, dove l’amore, la gelosia e la veggenza coesistono con dei valori sacri come l’ospitalità arabo-musulmana, la religione, l’educazione dei figli. Quanto all’aspetto deliberatamente didattico del romanzo, bisogna sottolineare la vocazione quasi appassionata dell’autrice, ricordando il ruolo educativo che è intrinseco naturalmente nelle donne. Nel romanzo sono presenti tracce di astronomia, sulla storia della Creazione o ancora sul dovere d’amore verso i bambini, dovere che non era facile da gestire presso le popolazioni indigenti, frustrate e senza mezzi di sostentamento. E’ presente poi, sempre nel “Al cuore dell’Harem”, una storia parallela, quella del Protettorato francese, inficiata dalla monarchia, dal Makhzen e dal regime tribale presenti in quell’epoca. Il romanzo inoltre fornisce numerose e fondamentali spiegazioni sulla moralità del periodo storico stabilendo dei paralleli con il primo romanzo della sociologa Fatima Mernissi, “La terrazza proibita (Vita nell’Harem)”. Malgrado notevoli differenze sul piano della scrittura, i due romanzi sono dei veri documenti storici, interessando più o meno, lo stesso periodo, con un humor senpre presente a mascherare tutti gli aspetti partigiani o tutte le derive. Fatima Mernissi dispensa un vero corso sulle olive nere, sulla fabbricazione del ghassoul, sulle ricette di bellezza o ancora sulle differenze gerarchiche in seno ad un Harem. A 40 anni di intervallo, le due autrici permettono di penetrare nella vita intima delle donne marocchine ricostituendo davanti ai nostri occhi un universo di donne intelligenti e gioiose di vivere, malgrado i drammi e gli avvenimenti tragici dell’epoca.
Fonte: My Amazighen