Questo progetto del grande e inimitabile fotografo americano David LaChapelle è stato presentato nel 2008 ed è dedicato interamente al continente africano, saccheggiato, mercificato, violentato continuamente, allo stremo delle sue forze. L’immagine che da il titolo all’opera è una esplicita reinterpretazione del famoso dipinto di Botticelli “Venere e Marte”. I soggetti sono in una posa che rimanda ad un’atmosfera fashion, molto glamour e quindi prettamente inerente al mood di LaChapelle, con dei posizionamenti forzati ma armonici, che si compensano fra loro, con luci diffuse ovunque. Una Venere che prende le sembianze di Naomi Campbell dallo sguardo criptato ed un Marte scultoreo ed assopito, il cui elmo e le cui armi gli vengono sottratte dai bambini soldato, che in Botticelli erano dei fauni, figure mitologiche irriverenti. Venere, dea dell’amore, Marte, dio della guerra, due opposti che in realtà da sempre stanno a rappresentare “l’armonia dei contrari”, concetto filosofico del neoplatonismo in auge tra il 400 e il 500. Una differenza sostanziale tra l’opera del vsionario LaChappelle e l’opera del Botticelli riguarda la funzione di Venere nella immagine. In “Rape of Africa” la Venere ha la veste lacerata che scopre un seno, come se qualcuno avesse abusato di lei, e induce lo spettatore a pensare ad una vera e propria violenza fisica. La presenza del gallo che sovrasta, in altezza, la bella Venere, puo’ essere interpretato come simbolo della virilità maschile e dell’aggressività (il termine gallo in slang anglosassone, risulta esser ambiguo e traducibile anche come membro maschile). L’agnello infine, assorto, puo’ alludere ad una purezza e ad un candore persi con l’inganno, ma presenti. Presenze eccessive di oggetti tendono a riempire ad ogni costo l’immagine senza lasciare alcun spazio vuoto. Alcuni di questi oggetti sono la croce, i lingotti, la bomba a mano, un osso, tutti oggetti totalmente in oro massiccio, simbolo quindi di ricchezza occidentale, bianca. Come sempre LaChapelle gestisce i suoi percorsi emozionali con apparentente superficialità, rendendolo ogni sua opera volutamente kitsch e disturbata. Senza mezza misure il fotografo punta il dito sugli inganni colonialisti verso un continente ricco, ma derubato di ogni suo avere da secoli. Lo fa con ironia tipica del suo stile, amara, a volte difficile e incomprensibile, ma basta soffermarsi qualche istante in più sulle definizioni dei particolari, inseriti ovunque, per carpire i suoi segreti, i suoi rimorsi, le sue angosce più profonde, quelle che attanagliano tutti noi e le nostre coscienze.
Fonte: My Amazighen