Dal 20 gennaio al 22 febbraio 2015 – Triennale di Milano (MI)
Dopo l’uomo, il vino è il personaggio più capace di raccontare storie, di lanciare messaggi vasti e antichi, di presentarsi con i suoi documenti d’identità completi.
Cuore pulsante della mostra sara? la ricostruzione, parziale va da sé, della sua cantina, fedele copia di quella realizzata tra il 1970 e il 1971, quando Veronelli si trasferì da Milano a Bergamo, con la collaborazione dell’architetto e designer Silvio Coppola. Scavata nella roccia, sotto il giardino di casa, ha una superficie di 350/400 metri quadrati e si è “fatta” nel tempo (34 anni) senza soluzione di continuità. È giunta a contenere 70.000 bottiglie (ogni giorno ne entravano ed uscivano), in gran parte italiane e conservate in box quadrati di cemento per laterizi.
I visitatori della mostra avranno modo, attraverso particolari soluzioni adottate (e che ci piace per ora tenere nascoste) di vivere un’esperienza multisensoriale, cogliendo il fatto che per Veronelli quello che lui chiamava affettuosamente il suo “bunker” non era un “museo” dove collezionare asetticamente vini pregiati disposti in scaffali di legni particolarmente caldi, ma un luogo di lavoro dove assaggiava e, a distanza, riassaggiava i vini per conoscerli e capirli al meglio. Un ambiente dove il fascino è dato dall’essenzialità, pieno all’inverosimile di bottiglie, contraddistinto da un aroma forte di vini che si mescolano. «Borges parlava di una biblioteca così vasta che le torri che circondavano l’edificio, tutte uguali tra loro, erano la prima bianca e l’ultima nera. Entrare in questa cantina dà una sensazione analoga. I vini, tutti ugualmente grandi, anche se la loro fama è assolutamente diversa, sono il primo bianco e l’ultimo rosso»
(Gian Arturo Rota, Nichi Stefi, Luigi Veronelli. La vita è troppo corta per bere vini cattivi, Giunti-Slow Food 2012).