“Riviera Noir”. Se fosse un romanzo, potremmo descrivere così il nuovo lavoro di Davide Solfrini, che ci porta in una riviera adriatica lontana dai riflettori, dalle luci di un “Luna Park”, giusto per citare il titolo, in un insieme di storie sospese nel tempo, ognuna con un suo mondo sonoro di riferimento.
Un piccolo mondo stretto, caotico e talvolta grottesco, dove le storie degli individui si accalcano nel poco spazio ed al contempo si perdono e appassiscono.
Per questo nuovo lavoro il cantautore prosegue nel suo percorso musicale e, sulla sua passione di sempre, su sonorità di matrice “Americana” si innestano nuovi spunti, tutti al servizio della canzone e del testo.
Ne è un esempio l’electro/wave di “Luna Park”, che trasporta direttamente in una pista da dancefloor, oppure ancora “Hardcore”, con i suoi ricordi post- adolescenziali o ancora le sperimentazioni psichedeliche rythm’n’noise di “Mi Piace Il Blues”.
E’ solo in apparenza pop il vestito sonoro di “Bruno”, la storia di un tossicodipendente e della sua vita, dalle ambizioni di successo riposte in lui dai genitori negli anni della sua infanzia fino alla sua morte, che avviene silenziosa nella casa popolare dove, ormai cinquantenne, viveva con la madre. E, nell’arco di pochi minuti e poche note, Davide Solfrini ci fa viaggiare direttamente dagli anni ’80 ad oggi, dalle speranze alla distruzione di tutto. “Cenere” è invece la voce di un racconto di infanzia e di adolescenza vissute nella solitudine e nell’incomprensione che, di tanto in tanto, torna ad adombrare il presente.
Mentre in “Ballata”, troviamo un amaro resoconto di una storia d’amore adolescenziale grottesca e inconcludente, con un certo tocco di ironia.
Ci sono le storie di solitudine urbana come “Lavanderia” e “Mi piace il blues”, quest’ultima è il monologo di un disadattato molesto che importuna gli avventori di pub e bar con la sua visione della vita e, ovviamente, del blues.
“Elvis” poi è uno dei brani più visionari dell’ album; qui in uno scenario post atomico alcuni sopravvissuti ripensano a com’era bello il mondo ai tempi del re del rock’n’roll, mentre oggi ormai non resta che incitare i giovani rimasti con un rabbioso “Pagate meglio il DJ!” nella vana speranza che almeno lui, se scelto e trattato bene, li risollevi dal degrado o, almeno, risollevi le sorti di una serata. “Mai più ogni cosa” è un’intensa ballata di amore e perdita, una pagina di diario che annota il momento in cui ci si rende conto che l’altra persona è ormai persa e, anche se fisicamente solo nell’altra stanza, con il cuore ed i pensieri a migliaia di anni luce da noi. D’altronde per chi si chiede come si possa stare al passo con i movimenti di questa piccola città di luci, caos e rumore la risposta/non risposta è solo una: “Ci vuole tempo”.
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