Stefano Cucchi fu sottoposto senza dubbio “ad una azione di percosse” e “non puo’ essere definita una ‘astratta congettura’ l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”. Lo sostiene la corte d’appello di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui il 31 ottobre scorso sono stati assolti dal reato di lesioni tre agenti della polizia penitenziaria e da quello di omicidio colposo nove tra medici e paramedici dell’ospedale Sandro Pertini, dove Cucchi mori’ il 22 ottobre del 2009, sei giorni dopo essere stato arrestato per droga. Per il collegio, presieduto da Mario Lucio D’Andria, le 67 pagine di motivazioni saranno trasmesse alla procura di Roma perche’ “valuti la possibilita’ di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilita’ di persone diverse” dai poliziotti della penitenziaria gia’ giudicati.
Per la corte d’appello le lesioni subite da Cucchi “debbono essere necessariamente collegate a un’azione di percosse e, comunque, da un’azione volontaria, che puo’ essere consistita anche in una semplice spinta, che abbia provocato la caduta a terra, con impatto sia del coccige che della testa contro una parete o contro il pavimento”. E agli atti ci sono “concrete circostanze testimoniali” secondo cui “gia’ prima di arrivare in tribunale (per l’udienza di convalida dell’arresto, ndr) Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare a un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte”. Secondo la corte d’appello Samuura Yaya, il detenuto gambiano cui Cucchi avrebbe confidato di essere stato picchiato mentre si trovavano nelle celle di sicurezza del tribunale, non puo’ essere un “teste oculare decisivo” e dal “valore probatorio determinante”, come sostenuto dalla procura. Yaya, nel chiuso della sua cella, sente solo trambusto e rumori e non vede con i suoi occhi quello che poi Cucchi gli raccontera’ “in maniera piuttosto vaga”. Non solo ma, come evidenziato dai difensori degli imputati, lo straniero aveva tutto l’interesse a mostrarsi collaborativo con gli inquirenti al punto da ottenere un patteggiamento a una pena piuttosto mite per droga.
fonte aduc