Come è arrivato nel cast di IL PADRE?
La coproduttrice francese di Fatih, Fabienne Vonier, mi ha parlato del progetto. Conoscevo LA SPOSA TURCA e Ai confini del Paradiso, così come Soul Kitchen, e mi ha attratto immediatamente. Dopodiché lei mi ha organizzato un incontro con Fatih, che mi ha spiegato la trama e mi ha chiesto cosa ne pensassi. Gli ho detto che ero il suo uomo e di farmi sapere quando sarebbero iniziate le riprese. In seguito mi hanno comunicato ogni versione aggiornata del copione, perciò ho seguito l’evoluzione della storia. Prima di cominciare a girare, abbiamo provato per due settimane. Le prove sono state piuttosto diverse da quelle che avevo sperimentato fino a quel momento. Tutti gli attori sedevano intorno a un tavolo per discutere i ruoli, i dialoghi, i costumi e come esprimere al meglio la progressione drammatica del film.
Ha lavorato con molti registi di grande fama. Qual è la peculiarità dello stile di lavoro di Fatih Akin?
Non avevo mai incontrato prima di lui un regista a cui mi sentissi così affine. Non sono sicuro che anche lui la veda in questo modo, ma abbiamo gli stessi valori umani e spirituali. Fatih affronta il lavoro di pancia e con l’intelletto, nello stesso modo in cui io lo faccio come attore. Non so mai in anticipo dove questo mi porterà. Fatih è come un fratello per me ed è un capitano eccezionale. Sa quello che fa.
E’ insolito recitare qualcuno che nella prima parte del film perde la voce.
Nella preparazione per il film, ho consultato un primario in otorinolaringoiatria in Francia. Ho chiesto se fosse verosimile sopravvivere a una ferita sul collo che procura la perdita della voce. Secondo lui era possibile, così come è possibile perdere la voce per otto anni in seguito a un’esperienza traumatica.
Nazaret resta incredibilmente calmo quando l’esercito turco lo arresta di notte e lo separa dalla sua famiglia. Ci siamo chiesti quale fosse il comportamento comunemente accettato a cavallo tra i due secoli. Le persone mostravano i sentimenti in pubblico? Gli armeni erano notoriamente piuttosto riservati. Nazaret si limita a dare un bacio d’addio sulla fronte della moglie.
E’ il momento in cui il pubblico realizza che tutto cambierà. Di fatto perderà quasi tutto quello che abbia mai significato qualcosa per lui. Come può lui, o qualsiasi altro essere umano, sopravvivere in tali circostanze?
Inizialmente ci riesce soltanto grazie al puro istinto di conservazione. Ma è morto dentro. Dopo il campo di sterminio, è come un’anima persa, alla deriva. Non sa da che parte andare. Ma quando scopre che le sue figlie potrebbero essere vive, il desiderio e la speranza di ritrovarle diventano la forza motrice che lo riporta in vita. L’amore è una potenza immensa. Ma si tratta anche di fede, e della perdita di essa, e della disperazione che si prova di fronte a un Dio che finge di essere onnipotente, ma consente certe manifestazioni di inumanità.
Ha esitato quando ha sentito che a fare da sfondo alla storia sarebbe stato il genocidio armeno, che di fatto è un tema ancora controverso e quasi tabù in Turchia?
No, non ho esitato. Accetto i ruoli considerando tre fattori: il regista, il copione e il personaggio che dovrei interpretare. IL PADRE non è solo sulla sofferenza degli armeni. E’ anche un western, incentrato sulla figura di un padre che cerca disperatamente le figlie. Quindi è sulle ripercussioni di un terribile genocidio. Era la prima volta che leggevo un copione simile. Può essere paragonato a un film sul dramma della schiavitù, come DODICI ANNI SCHIAVO. Nazaret perde la famiglia, la voce e la fede. Tutto ciò è ovviamente metaforico. Il popolo armeno ha perso la propria voce: gli armeni non avrebbero dovuto parlare di questi terribili eventi.
Quanto sono durate le riprese?
Dall’inizio alla fine, cinque mesi. Siamo andati a Cuba, in Canada, Giordania, Germania, Malta e poi di nuovo in Germania. Non ho mai investito tanto tempo in un film prima di questo.
Compare in quasi tutte le scene. E’ stato difficile?
Sì, decisamente. Ogni scena è stata una sfida. Ci sono film in cui l’attore si limita a camminare da sinistra a destra guardando l’orizzonte con occhi carichi di nostalgia. In questo film dico qualcosa in ogni scena, cercando l’espressione, lottando ecc…
Quali sono state le scene più dure da girare?
Le scene di sopravvivenza nel deserto. In Giordania, a volte la temperatura ha raggiunto i 40 gradi, e ci sono state ripetute tempeste di sabbia. In Canada la temperatura è scesa fino a -10 gradi. Digiunavo per apparire emaciato. Questo mi indeboliva. Alla fine sono dovuto andare in ospedale, mi sono svegliato con la tachicardia. Le analisi hanno rivelato che soffrivo di aritmia cardiaca. Il mio cuore è impazzito per quattro ore. A quel punto ho dovuto veramente riposarmi. Avevo chiesto troppo a me stesso. Ma adoravo lo stesso quel ruolo. La scena in cui Nazaret guarda IL MONELLO di Charlie Chaplin è stata difficile.
Perché? Non sembra tanto complicata.
Avevo poco tempo, perché dovevo andare a Cannes. Quando abbiamo girato, la macchina da presa non ha funzionato bene. Abbiamo ripetuto la scena. C’è stato un altro problema. Tutto quello di cui avevamo bisogno era un mio primo piano. Alla terza ripresa, il proiettore che riproduceva il film sul muro si è rotto. Perciò abbiamo dovuto ripeterla. Sono arrivato quasi al punto di pensare che quella scena fosse maledetta.
E’ andato negli Stati Uniti con Fatih Akin per mostrarlo a Martin Scorsese e Mardik Martin. Com’è andata?
E’ stato splendido. Non avrebbe potuto esserci un modo migliore per vedere il film. Non l’avevo ancora visto nemmeno io. Abbiamo assistito alla proiezione di IL PADRE nella sala della Directors Guild of America, perché la macchina nell’ufficio di Scorsese non funzionava. E’ davvero strano guardarsi di fianco a questi maestri. E’ stata un’esperienza sbalorditiva.