La trama (con parole mie): Frank e Zoe sono una coppia di scienziati e ricercatori universitari che hanno dedicato gli ultimi anni delle loro vite alla realizzazione di un siero che possa permettere di riportare in vita a tempo sulla carta indeterminato i morti in modo da poter garantire ulteriori cure.
Per la loro ricerca hanno finito per rinunciare a molto, a partire dalla vita coniugale, orari normali, matrimonio e piani per il futuro.
Quando, testimoniato da una giovane documentarista ospite dell’equipe dei due medici, un cane risponde positivamente al siero, tutto pare cambiare: peccato che la multinazionale proprietaria delle attrezzature e responsabile dei finanziamenti decida di porre fine al progetto, di fatto togliendolo dalle mani di Frank, Zoe e dei loro soci ed amici, ed il cane stesso manifesti pesanti segni di squilibrio e, durante un’incursione proibita nel laboratorio, Zoe muoia fulminata.
A questo punto Frank, sull’orlo della crisi, decide di sperimentare quello che resta del siero sulla sua compagna: gli effetti della resurrezione di Zoe, però, non saranno propriamente quelli che avrebbe desiderato.
Negli ultimi anni l’horror, complici una serie quasi infinite di uscite dalla qualità infima, ha finito per diventare un riempitivo senza troppe speranze, lontano dai fasti della mia infanzia e dell’infinità di prodotti cult usciti a cavallo tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta: non lontano da questo trend è The Lazarus Effect, distribuito non troppo tempo fa in sala e salito agli onori della cronaca principalmente per la presenza di Olivia Wilde, oggetto del desiderio della maggior parte di spettatori di sesso maschile – e forse non solo -, per la prima volta, se la memoria non m’inganna, alle prese non solo con il genere, ma anche con un ruolo da “evil” pieno, anche se solo parzialmente.
David Gelb, giocando praticamente solo sull’effetto da salto sulla sedia legato ad effetti sonori improvvisi, costruisce una vicenda come se ne sono già viste a decine – se non centinaia – nel genere, riprendendo il mito di Frankenstein ed il fascino dell’ignoto legato al post-mortem ed unendo gli stessi alle tematiche da possessione demoniaca – almeno all’apparenza -, costruendo, di fatto, un prodotto senza un’identità precisa che si riscatta solo parzialmente con la rivelazione sul significato dell’incubo che affligge la protagonista salvo poi cadere nel pessimo vizio del finale aperto creato ad hoc nella speranza di girare un sequel.
A favore del lavoro di Gelb vanno comunque annotati un minutaggio onesto – finalmente un titolo che riesce a stare sotto i novanta minuti di durata, praticamente un miracolo, di recente – ed una scelta di cast che strizza l’occhio al pubblico giovane ed al piccolo come al grande schermo: troppo poco, comunque, per risultare qualcosa in più che una visione tappabuchi, buona giusto per occupare un pranzo in solitaria o una serata di stanca.
Senza dubbio, nel corso della mia carriera – soprattutto recente – di spettatore ho visto cose peggiori, ed in grado di farmi incazzare molto di più, ma allo stesso tempo non sentivo affatto la necessità di un titolo come questo, di fatto affrontato giusto perchè recuperato in buona qualità e perfetto per staccare il cervello senza impegno: senza dubbio la prima parte, giocata principalmente sull’atmosfera e le questioni etiche risulta più sensata ed avvincente della seconda, pronta a precipitare nel più classico degli sviluppi che il genere impone ed allo stesso tempo, paradossalmente, molto meno efficace in termini di inquietudine, ma di fatto si continua a girare intorno all’inutilità di un prodotto che non aggiunge assolutamente nulla all’esperienza di chi lo guarda, e che regala i momenti migliori – fatta eccezione per un paio di dialoghi sempre sviluppati prima dell’incidente occorso a Zoe – nel confronto tra Olivia Wilde e Sarah Bolger, con la mia preferenza che va alla giovane irlandese qui nel ruolo della documentarista ignara del disastro pronto ad abbattersi sull’equipe scientifica che si è trovata a riprendere.
In questo senso, capirete bene che se in un horror l’attrattiva principale è quella data dalla scelta da fare in merito alla donzella più attraente sullo schermo, qualcosa nel resto non funziona come dovrebbe.
Un pò come il siero che lo sfortunato gruppo di ricercatori si vede scippare dal sempre mefistofelico – e troppo poco presente on screen in questo caso – Ray Wise.