I popoli indigeni più direttamente minacciati dalla catastrofe ecologica non avranno spazio al summit COP 21, che si terrà a Parigi alla fine del mese. Questo, nonostante prove evidenti dimostrino che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti degli ambienti in cui abitano.
La conferenza mondiale sui cambiamenti climatici di Parigi si concentrerà infatti sulle politiche energetiche delle nazioni industrializzate, e non sulla distruzione di ambienti naturali come l’Amazzonia. I popoli indigeni del Brasile e di altri paesi sudamericani stanno cercando di resistere al disboscamento, alle attività minerarie e all’allevamento di bestiame che stanno distruggendo vaste aree della foresta, ma alla COP 21 non sembra esserci alcuna intenzione di sostenere i loro sforzi.
Secondo un recente rapporto del Rights and Resources Initiative (RRI), pochissimi dei governi che parteciperanno al summit di Parigi hanno menzionato i diritti indigeni nelle loro politiche per la conservazione o per il clima. Pochi si sono limitati a qualche cenno mentre ventisei dei quarantasette paesi esaminati non hanno addirittura fatto nessun riferimento in assoluto alla gestione delle terre indigene nelle loro proposte.
Sebbene siano stati esclusi dalle principali tribune di dibattito, centinaia di leader indigeni dal Sud America e del mondo parteciperanno comunque alla conferenza per far sentire la propria voce. Tra questi ci saranno noti attivisti indigeni, come Davi Yanomami, Raoni Kayapó e Mauricio Yekuana.
“Il clima sta cambiando. Voi lo chiamate riscaldamento globale. Noi lo chiamiamo Motokari. Sta facendo ammalare i polmoni della terra. Dobbiamo rispettare questo mondo, dobbiamo mettere un freno. Non possiamo continuare a distruggere la natura, la terra e i fiumi” ha detto Davi Yanomami in merito alla protezione della foresta. “Non potete continuare a ucciderci, a uccidere noi Indiani della foresta. Noi sappiamo prenderci cura della nostra foresta.”
Tra le tribù più attive nella lotta per salvare l’ambiente ci sono:
• I Guajajara: un gruppo noto come i ‘Guardiani Guajajara’ ha attirato l’attenzione per i suoi coraggiosi tentativi di resistere alla deforestazione. Sono stati coinvolti in scontri con le bande armate di taglialegna, e negli ultimi mesi si sono persino organizzati per spegnere un grande incendio nel territorio indigeno di Arariboia.
• I Ka’apor: all’inizio dell’anno, i Ka’apor hanno risposto al disboscamento illegale nel loro territorio formando un ‘esercito’ indigeno. Da allora hanno però subito violenze punitive.
• I Guarani: come forma di ritorsione per i loro tentativi di tornare a vivere nelle terre ancestrali, gli indigeni del Brasile sud-occidentale e del Paraguay continuano a subire violenze da parte dei coltivatori di canna da zucchero e soia e dei grandi allevatori. In ottobre, i sicari al soldo degli allevatori hanno sparato a due giovani Guarani. La tribù sta cercando di organizzare il boicottaggio della carne e della soia prodotte nelle loro terre senza il loro consenso, ed esportate all’estero.
I popoli indigeni sono i migliori conservatori e custodi del mondo naturale. Sono anche i più colpiti dalla distruzione dell’ambiente naturale in cui vivono. Ma senza il sostegno della comunità internazionale, i popoli indigeni del Sud America e le regioni amazzoniche in cui vivono potrebbero essere distrutti per sempre.
“La nostra società industrializzata è responsabile della distruzione del mondo naturale e dell’inquinamento atmosferico. I popoli indigeni, invece, si sono dimostrati molto più abili di noi nel prendersi cura dell’ambiente” ha detto oggi Stephen Corry, Direttore generale di Survival International. “Per questo, l’arroganza con cui pensiamo che ‘noi’ abbiamo tutte le risposte, mentre estromettiamo i popoli indigeni, è davvero vergognosa. È il momento di ascoltare le voci indigene, e di riconoscere che nella lotta per salvare l’ambiente i partner junior siamo noi.”
Fonte: www.survival.it