Come nasce il progetto Nieminen?
Siamo in tre, due sceneggiatori/registi (Marco Scotuzzi e Andrea Brusa) e un producer (Andrea Italia). Due milanesi e un bresciano trapiantato a Milano. Ci siamo conosciuti dieci anni fa sui banchi dell’Università qui a Milano, poi ognuno ha seguito la propria strada per qualche tempo: Marco è diventato un videomaker e ha lavorato su progetti internazionali; Andrea si è spostato a Los Angeles dove si è laureato in sceneggiatura alla UCLA e ha vinto diversi premi; l’Andrea
producer, dopo aver lavorato a SKY, ha curato campagne di PR e marketing a Milano e New York.
Ci siamo ritrovati tre anni fa con l’idea di lavorare insieme su progetti che potessero mettere in luce storie italiane inesplorate, in particolare qui a Milano. E’ quello che abbiamo voluto fare anche con “Nur”. Abbiamo voluto raccontare una Milano crocevia di popoli, mondi e culture. Una città in cui dietro l’angolo, lontano dai riflettori, si incontrano i destini drammatici di mezzo mondo.
C’è spazio in Italia per i cortometraggi?
I festival di cortometraggi a livello internazionale stanno diventando sempre più importanti e un buon corto può spesso essere un ottimo biglietto da visita per presentare il prossimo progetto e il team di lavoro. Abbiamo partecipato con diversi corti a Festival molto interessanti, come il Souq Film Festival e Corto Corto Mon Amour solo per citarne due, e ogni volta abbiamo trovato una grande attenzione da parte del pubblico.
Perchè raccontare il mondo dei profughi, in questo momento storico, nel quale spesso si assiste in Italia al crescere dell’intolleranza verso lo “straniero”? E’ una “presa di posizione”?
Da mesi si sentiva parlare di quella che veniva definita l'”emergenza profughi” a Milano e così siamo andati alla Stazione Centrale per verificare la situazione. Abbiamo scoperto un mondo che non conoscevamo e del quale sentivamo parlare poco dai media. Abbiamo incontrato decine di Siriani in transito e tanti operatori e volontari che erano lì per aiutarli. Siamo poi riusciti ad entrare in un centro di accoglienza e tra i profughi abbiamo conosciuto professori, scrittori, dottori, musicisti, ossia la classe media e colta di un paese che stava scappando. Abbiamo sentito l’urgenza di fare luce su almeno una di queste storie al tempo stesso drammatiche e meravigliose.
Rispetto a un argomento così complesso come il flusso migratorio attuale, la stessa volontà di approfondire può essere considerata una “presa di posizione”.
La cosa più facile e quella più difficile durante le riprese?
Dieci giorni prima dell’inizio delle riprese, il centro d’accoglienza profughi dove avevamo programmato di girare non ci ha dato il permesso per fare le riprese. Abbiamo pagato il fatto che nella sceneggiatura ci fosse un trafficante di persone. In meno di una settimana abbiamo ricostruito un angolo del centro in un box del nostro palazzo che non era ancora stato occupato.
Questo è stato sicuramente l’aspetto più complesso della produzione. Quello più facile, invece, è stato lavorare con il bellissimo gruppo di lavoro che collabora con noi da diverso tempo ormai.
Professionisti incredibili come il nostro direttore della fotografia Marco Nero, che si sono impegnati di notte al freddo per lavorare a “Nur” solo perché credevano nel progetto.
Quanto tempo sono durate le riprese? Qualche aneddoto?
Abbiamo girato per tre notti intere a Milano in inverno. Faceva molto freddo e soprattutto durante le scene in macchina non è stato facile per le attrici, Zena e Sara, che dovevano stare ferme sedute sul sedile posteriore con i finestrini abbassati per permettere alle camere di entrare nell’auto. Abbiamo finito le riprese con una scena epica, girata alle 4:30 di notte al parco di Trenno di Milano, con un piano-sequenza in cui Zena ha dovuto scavare una buca nel parco (con la terra ghiacciata) con una vanga che era grande il doppio di lei. Siamo molto orgogliosi del nostro cast e del lavoro che hanno fatto in condizioni non facilissime.
Progetti futuri?
Pensiamo ci sia ancora molto da dire sul fenomeno attuale della migrazione, per questo il nostro prossimo lavoro si concentrerà ancora su questo tema. Sentiamo questo tipo di urgenza perché, se si esclude qualche giornale e alcuni siti in cui le questioni vengono approfondite, spesso le vicende delle singole persone non sono prese in considerazione dai media mainstream per ovvie ragioni. E tra quelle che riusciamo a intercettare sono molte le storie che meritano di essere inserite nella dimensione narrativa di un film.