Nel film, il capo del gruppo investigativo del Globe, Walter “Robby” Robinson, è interpretato da Michael Keaton, candidato all’Oscar per il suo ruolo nel film del 2014 Birdman (o L’inaspettata virtù dell’ignoranza). L’attore, che è cresciuto in una famiglia cattolica, ha saputo cogliere i tic comportamentali del suo personaggio con incredibile precisione. “La prima scena del film che ho visto era un’inquadratura di Michael Keaton”, ha raccontato Robinson. “E per poco non cadevo dalla sedia: ero io. Non aveva solo la mia voce e il mio accento quasi bostoniano, ma anche le mie espressioni, i miei gesti. Michael mi aveva fotografato”.
McCarthy dice di aver pensato a Keaton per il ruolo di Robinson, avendo in mente la sua straordinaria interpretazione nel film del 1994 Cronisti d’assalto di Ron Howard, in cui vestiva i panni di un appassionato cronista. “Per l’appunto, Cronisti d’assalto è anche uno dei film preferiti di Robinson. Come Robby, Michael è un duro, ma anche un uomo gentile, ironico e affascinante. Tutte qualità che ha trasferito nel ruolo del giocatore-allenatore che ha guidato le indagini”.
A lavorare sotto la direzione di Robinson c’è il giornalista di punta Mike Rezendes, interpretato da Mark Ruffalo. L’attore, candidato a un Oscar per il suo ritratto del lottatore David Schultz nel film del 2014 Foxcatcher, ha ricevuto la sceneggiatura di Il caso Spotlight un venerdì. L’ha letta la sera, e il giorno dopo ha accettato la parte. “Ho capito immediatamente che sarebbe stato un film importante”, ricorda Ruffalo. “Ci sono film che fai per gli altri, e film che fai per te stesso. È terribile che ci siano così tante persone ferite in modo così brutale e spietato da un’istituzione che non avrebbe dovuto permetterlo”.
Ruffalo ha seguito Rezendes per settimane, per prepararsi a interpretare il ruolo di questo tenace giornalista. “Il primo giorno che l’ho incontrato, Mike era un po’ sulla difensiva. Non mi stupisce. Avrà pensato: e ora che vuole da me, questo attore? Siamo andati a casa sua, poi a cena e poi abbiamo fatto una lunga passeggiata. Abbiamo parlato parecchio e ho cominciato a farmi un’idea di che tipo fosse. Poi sono stato al Globe e l’ho seguito per cinque giorni, al lavoro, prima di cominciare le prove del film. Quando sono iniziate le riprese, veniva abbastanza spesso sul set. Il fatto che stesse lì a guardarmi mi rendeva un po’ nervoso, perché ci tenevo molto a interpretarlo nel modo giusto”.
Conoscendo meglio Rezendes, Ruffalo ha scoperto di avere molte cose in comune con la sua controparte reale.”Mike ed io siamo due outsider”, osserva Ruffalo. “Veniamo da un mondo che non ci apriva molte porte, a livello professionale. Siamo stati due ribelli e abbiamo ricevuto entrambi un’educazione cattolica. Tutti e due abbiamo lasciato la Chiesa Cattolica perché vedevamo troppe incongruenze tra i suoi insegnamenti e come venivano messi in pratica”.
Ruffalo – il primo degli attori ad aderire al progetto – ha saputo dare uno spessore particolare al suo personaggio. “Mark ha una straordinaria capacità di trasformarsi completamente, a seconda del personaggio che interpreta”, osserva McCarthy. “Lavora molto sul registro emotivo, ed è stato entusiasmante vederlo trasformarsi in Resendez, senza mai esagerare o diventare enfatico”.
Mentre il personaggio di Ruffalo si concentra sugli aspetti legali dell’indagine, la giornalista interpretata da Rachel McAdams, Sacha Pfeiffer, si occupa di intervistare le vittime degli abusi del clero. “Sacha è un tipo sveglio”, dice la McAdams, recentemente apprezzata per il suo ruolo nella serie di culto True Detective , dopo grandi successi come Sherlock Holmes e Le pagine della nostra vita, solo per citarne alcuni. “Sacha ed io abbiamo cominciato a comunicare via email, poi siamo passate al telefono e alla fine ho preso un treno da New York a Boston e ho trascorso un pomeriggio con lei e suo marito”, ricorda l’attrice.
Quel viaggio si è rivelato prezioso. “Ho fatto a Sacha tutte le domande che mi venivano in mente”, racconta l’attrice. “Anche sui dettagli, per esempio: ‘Usi l’orologio?’. E lei mi ha detto tutto quello che volevo sapere”.
Le conversazioni della McAdams con Sacha Pfiffer hanno dato i loro frutti in alcune delle sequenze più toccanti del film, quelle in cui la giornalista incoraggia – con delicatezza – le vittime degli abusi a raccontare la loro storia. “Sono rimasta molto colpita dal modo in cui Rachel ha rispettato e onorato le vittime”, commenta l’attrice. “‘Per tanti anni’, mi ha raccontato, ‘quelle persone avevano nascosto le violenze subite, non ne avevano mai parlato con nessuno e nessuno se n’era assunto la responsabilità. E all’improvviso arrivo io a chiedergli di raccontare gli abusi, a sconvolgere le loro vite’. Sacha mi ha detto che non le sembrava giusto fare le interviste, tornarsene in ufficio, sfruttare quel dolore e sparire in fretta com’era arrivata. Quindi ha mantenuto i rapporti con molte delle vittime, anche dopo la pubblicazione delle loro storie, fino ad oggi”.
La McAdams ha cercato di rendere il modo in cui la Pfeiffer, con grande delicatezza e fermezza insieme, è riuscita a farsi raccontare dalle vittime alcuni dettagli giornalisticamente rilevanti. “Ormai le vittime erano uomini e donne adulti, impiegati e professionisti, che non si sentivano a loro agio a raccontare certe esperienze, soprattutto a una giornalista. Sacha è un’ottima ascoltatrice e una donna sensibile, ma doveva chiedere a quelle persone di essere estremamente esplicite sulle dinamiche degli abusi, per non doversi limitare a etichettarle genericamente come ‘molestie’.”
Il regista McCarthy ha incontrato la McAdams via Skype e ha subito percepito la sua concretezza e la sua disinvoltura. “Sacha e Rachel sono due persone estremamente franche e dirette”, osserva. “Sono intelligenti ma senza forzature, e hanno entrambe grandi doti comunicative”. Questo traspare anche nel film, dove Rachel – nel ruolo di Sacha – appare determinata e instancabile, ma mai invadente o molesta. Rachel ha una straordinaria facilità di rapporto con le persone”.
Liev Schreiber interpreta il neo-direttore del Boston Globe, Marty Baron, con una pacata fermezza che Singer, il co-sceneggiatore, aveva colto documentandosi sulla vicenda. “Quando ho intervistato Marty a Washington, aveva un post-it in ufficio con la scritta “Non sono un tipo accomodante”. A Marty non importa se deve pestare i piedi a qualcuno. Il suo lavoro è dare la notizia”.
Di recente candidato a un Emmy per il suo ruolo nella serie poliziesca Ray Donovan, Schreiber è subito entrato in sintonia col personaggio. “Uno dei momenti più emozionanti per me, è stato quando ho avuto l’opportunità di andare a Washington a conoscere Marty Baron”, racconta l’attore. “È stato fantastico poter passare del tempo con lui e capire le difficoltà in cui si trovano molti quotidiani oggi nel nostro paese. In effetti uno dei motivi per cui amo così tanto questo film è che spezza una lancia a favore di giornali e giornalisti”.
“Per me, Marty e gli altri giornalisti di questa vicenda sono dei veri eroi”, prosegue Schreiber. “Parlando con Marty mi sono reso conto che il suo è un lavoro che non dà tregua. Marty è un tipo combattivo, che va dove lo porta la notizia. Non si tira indietro neanche se deve mettersi contro persone e organizzazioni molto potenti, pur di arrivare alla verità”.
L’ex vicedirettore del Globe Ben Bradlee Jr. ha subito simpatizzato con l’attore che lo rappresenta sullo schermo. “Quando ho saputo che per il mio ruolo era stato scritturato John Slattery, mi è subito tornato in mente quando interpretava quella simpatica canaglia di Roger Sterling in Mad Men. Mi piacciono le canaglie. E mi piace John. Abbiamo passato parecchio tempo insieme. E’ uno serio, ed essendo anche lui di Boston, è un tifoso dei Red Sox come me”.
McCarthy ha visto in Slattery, suo vecchio amico, l’interprete ideale di Bradlee. “Come Ben, John è un tipo schietto e diretto, che non ama i giri di parole”, dice McCarthy. “Fa il suo lavoro con una disinvolta sicurezza che mi ha ricordato Ben”.
Slattery, noto a milioni di spettatori per il ruolo di Sterling, socio dell’agenzia pubblicitaria di Mad Men, è stato felice di poter interpretare Bradlee. “Ben è un uomo molto intelligente ed è lui stesso un personaggio. Quindi avevo parecchio materiale su cui lavorare”, racconta l’attore. “È difficile spiegare l’importanza della Chiesa Cattolica in città, all’epoca. Era la più grande diocesi del paese e il 53% dei lettori del Globe erano cattolici. Ci voleva un gran coraggio per mettersi contro la Chiesa Cattolica”.
Essendo di Boston, Slattery si è sentito a casa durante le riprese in esterni. Alcune scene sono state girate al Fenway Park, dove suo zio aveva lavorato per decenni come dipendente della squadra dei Red Sox. Nel corso della storia, il suo personaggio viene assalito da un’angoscia crescente. “Via via che l’indagine procede, Ben sente sempre di più il peso della responsabilità”, spiega Slattery. “Se ti esponi per documentare una vicenda di questa portata, anche emotiva, che può danneggiare gravemente un’istituzione potente come la Chiesa Cattolica, devi essere sicuro di quello che fai”.
A completare il team Spotlight c’è il giornalista specializzato in ricerche informatiche Matt Carroll, interpretato da Brian d’Arcy James. “Matt è – come si definisce lui stesso – lo ‘smanettone’ del gruppo”, spiega James parlando di Carroll, che oggi lavora come ricercatore al Massachusetts Institute of Technology Media Lab’s Center for Civic Media. “Ha raccolto tutti i dati sui sacerdoti e i casi di abusi in un arco di 30 anni, e li ha inseriti su fogli Excel. Poi li ha analizzati e sintetizzati per contribuire a ricostruire il quadro completo dei fatti”.
L’avvocato Mitchell Garabedian, interpretato da Stanley Tucci, fornisce informazioni preziose ai cronisti del team Spotlight. “È un uomo dai modi bruschi, che ha una sola missione ormai: dare giustizia a centinaia di persone”, spiega Tucci. L’attore non ha mai incontrato di persona l’avvocato, ma ha studiato ore di filmati televisivi di conferenze stampa e altri materiali. “Se si pensa alle storie che deve avere ascoltato Garabedian, raccontate da bambini e da anziani abusati quando avevano appena sei o sette anni, è facile immaginare che ne sia rimasto segnato. Eppure, è instancabile”.
Come si vede nel film, Garabedian si rivela un ottimo collaboratore quando il Globe, alla fine, decide di chiedere il suo aiuto. “È un uomo che non si fida più di nessuno”, spiega Tucci. “Ha visto tanti di quei sotterfugi, accordi segreti e intrecci tra la Chiesa, i politici e il dipartimento di polizia… Credo che avesse tutto il diritto di essere paranoico”.
Il Caso Spotlight, il team
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