Lucia Servadio Bedarida, inizio’ la sua carriera professionale a Tangeri, in Marocco, dove si trasferi’ con la famiglia nel 1940, a seguito della promulgazione delle leggi razziali del 1938. Venne nominata negli anni ’60 referente per il Marocco dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dalle Nazioni Unite dove presto’ la sua opera per quarant’anni, collaborando con il governo marocchino e diverse istituzioni del paese. Lucia Servadio nacque ad Ancona il 17 luglio 1900 in una famiglia di origini ebree. Si iscrisse alla Facoltà di medicina dell’Università di Roma, dove si laureo’ nel luglio del 1922. L’anno successivo si sposo’ con il medico Nino Vittorio Bedarida che conobbe a Torino. Dopo la specializzazione in radiologia inizio’ a lavorare con il marito presso l’Ospedale torinese. “Era lui e non io, che doveva riuscire nella carriera e quindi io lo aiutavo negli esperimenti di laboratorio, nelle ricerche in biblioteca, nell’esecuzione degli atti chirurgici” racconto’ in una intervista raccaolta da Olivia Fincato un mese prima della sua morte. (Fincato, D’Agostini, 2007, p.30) Nel 1930, in seguito alla nomina del marito a primario del reparto di chirurgia dell’Ospedale civile di Vasto, Lucia si trasferi’ nella cittadina abruzzese con le due figlie Paola e Mirella. Una terza figlia, Adria, nascerà pochi anni dopo. A seguito della promulgazione delle leggi razziali, Bedarida dovette lasciare il suo posto in Ospedale e l’incarico di libero docente in Patologia chirurgica e in Clinica chirurgica e medicina operatoria all’Università di Bologna. Nel 1940 tutta la famiglia abbandono’ l’Italia per trasferirsi a Tangeri, su invito di un ex allievo del Dott. Bedarida, il Dott. SHakin, anche lui di origine ebraica: “Il Dott. Shakin, racconta Lucia, chiedeva se mio marito era disposto ad andare a dirigere una clinica privata, ancora da aprirsi, nella zona internazionale di Tangeri. Tangeri in quel momento era amministrata insieme all’Italia, da Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Belgio e Olanda. I sudditi di queste sette nazioni potevano entrarvi liberamente senza bisogno di visti ed esercitarvi le loro professioni. Uno spiraglio di luce si apriva per noi”. E cosi’ fu. La vita in Marocco si rivelo’ ricca di soddisfazioni professionali per i coniugi Bedarida. In particolare Lucia, in quanto unica donna medico della zona, guadagno’ una vasta clientela femminile, nonchè una popolarità sempre piùampia: “mi è capitato varie volte di esaminare donne venute da paesetti lontani, magari a dorso d’asino, accompagnate dai loro mariti, le quali mi hanno dichiarato di non essere state esaminate sino ad allora da un medico, e venivano da me solo perchè si era sparsa la voce che a Tangeri c’era una brava Tubiba (Tubib è il termine arabo che indica il dottore)”. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando le due figlie più grandi si trasferirono negli Stati Uniti per proseguire gli studi, Lucia raccose grandi soddisfazioni e riconoscimenti professionali. Inizio’ la collaborazione con diverse istituzioni, come il Ministero della Sanità marocchino e il Consolato Italiano di Tangeri e, nel 1957, lavoro’ con l’Associazione ebraica “Oeuvre de secours aux enfants” che si occupava della assistenza medica degli ebrei perseguitati in Europa. Quando nel 1965, dopo una lunga malattia, mori’ il marito, Lucia rimase sola, decidendo pero’ di rimanere a Tangeri e proseguire la sua opera. Cosi’ racconterà la sua esperienza: “con tutti questi incarichi e impegni la mia attività era intensa ma con orgoglio posso affermare di non aver mai considerato la medicina come un mestiere per fare denaro e diventare ricca, ma come uno studio continuo per perfezionare la mia conoscenza e aumentare la mia capacità di curare chi, in cerca d’aiuto, a me ricorreva.” Collaboro’ con la rivista femminile americana “Journal of american women’s” association” e con il giornale spagnolo “Diario Espana“, pubblicato a Tangeri. Si dedico’ inoltre allo studio della cultura e della storia della medicina araba, e delle sue influenze sul pensiero scientifico occidentale, e scrisse nel 1967 il saggio “L’antica medicina araba e la sua influenza sul pensiero medico moderno“. Nel 1981 raggiunse le figlie che vivevano con le loro famiglie negli Stati Uniti. Mori’ nella sua casa di Cornwall on Hudson nell’aprile del 2006 a 105 anni. La giornalista Olivia Fincato raccolse l’intervista fatta a Lucia Servadio nel 2006, un mese prima della sua morte, nel libro “Un giorno con Lucia“, in cui la ricorda cosi’: “ la incontrai qui, nella casa sulle rive del fiume. Aveva 105 anni , parlava 5 lingue correttamente, ma mi disse di non esser mai riuscita a far sua la lingua di quella terra. I teatri, i cinema e le sale da concerto della vicina New York la mantengono viva, ma rimpiange il Mediterraneo. Il blu della sua infanzia e quello della vita a Tangeri. Viaggia, sempre con maggior difficoltà. Torna spesso in Marocco e in Italia, attirata dal ricordo.”
Fonte: My Amazighen