Prima di mettermi a parlare di un film come Ouija ho dovuto pensarci non una ma almeno un centinaio di volte. Questo perché avevo girato a me stesso di non concedere più spazio sul mio blog a film come questo. Scrivere per passione vuol dire, infatti, scrivere di ciò che ci appassiona (in questo caso, di cinema) e una pellicola come quella diretta da Stiles White è tutto all’infuori che cinema.
Proprio per questi motivi, quella di oggi non può definirsi una recensione bensì un’accozzaglia di informazioni e pensieri sparsi su un film che può essere riassunto con tre semplici parole: una vera cagata.
Partiamo col definire quell’oggetto il cui nome fa da titolo del film: la tavola ouija. Una superficie liscia e piatta su cui sono incise (o disegnate) le lettere dell’alfabeto più quattro parole chiave: sì, no, ciao e addio. Su questa superficie un medium (in questo caso termine generico che indica chi fa da “tramite”) o un gruppo di medium fa scivolare un altro oggetto attraverso cui seleziona lettere per comporre parole o frasi di senso compiuto. Ovviamente la scelta delle lettere non è arbitraria ma guidata dall’entità con cui il medium sta provando a comunicare. L’entità in questione non è mai specifica: può trattarsi di uno spirito, di un fantasma o di un demone. L’unica cosa certa è che tale entità viene attirata dal medium stesso che ne richiede la presenza invitandola e che, alla fine della seduta, lo accomiata mandandolo in pace.
Per chi ci crede, la tavoletta ouija è davvero il tramite tra il nostro mondo e un mondo alto con cui, solitamente, non riusciamo a comunicare. Non per forza un aldilà dalle connotazioni religiose ma, semplicemente, un Altrove. Per queste persone, questo oggetto funziona davvero e guai a trattarlo alla stregua di un giocattolo: utilizzarlo alla leggera senza una concreta conoscenza del suo potenziale equivale a trasformarlo in un oggetto pericoloso che potrebbe mettere l’utilizzatore in pericolo (non essendo egli capace di controllarlo).
D’altra parte esistono (e sono la maggioranza) gli scettici che vedono la famosa tavola come un semplice passatempo. Per questo, tra la fine del 1800 e l’inizio del ‘900, la tavoletta fu messa in commercio con questo nome da un gruppo di uomini d’affari e divenne un oggetto mitico da usare per farsi quattro risate o attraverso cui prendere per il culo un amico ad Halloween. Anche per questo, all’inizio degli anni ’90, i diritti del marchio sono passati ad una nota società che produce giochi e giocattoli: la Hasbro.
Che la tavoletta ouija sia un semplice oggetto ludico lo ha ribadito anche la scienza, spiegando che i pochi casi di reale manifestazione (quelli in cui l’indicatore si muove realmente sulla superficie della tavola, apparentemente senza che sia nessuno a farlo) siano da attribuire ad un effetto ideomotorio, ovvero a movimenti inconsci del corpo umano, assolutamente impercettibili. Spiegazione che però non basta a zittire chi crede nel paranormale e chi, quindi, crede che entità altre vivano su un piano diverso dal nostro e con noi (non sempre, non con tutti) possano comunicare.
Considerando però l’incredibile forza figurativa che un oggetto come questo possiede, è ovvio che col tempo sia assurto a culto, venendo così inglobato in meccaniche vaste e assurgendo a mezzo perturbante. E’ anche ovvio, quindi, che il cinema horror negli anni l’abbia preso in prestito e ci abbia ricamato, sfruttandolo a dovere più o meno dagli anni ’20. Molto spesso (ovvio) la tavola degli spiriti appare come semplice pretesto per scatenare orrori vari provenienti da quell’altrove in cui, di solito, bisogna avere il coraggio di immergersi senza protezioni, altre volte invece n’è stata fiera (si fa per dire) protagonista divenendo quindi il centro di tutto. Il problema, in quei casi, non è mai la ouija in se ma chi la usa, il come e il perché, quasi a voler inserire una morale: non si gioca con quello che non si conosce, la conoscenza è potere, l’ignoto fa paura, “ci sono più cosa in cielo e in terra” e via cantando. Tutti insegnamenti che, banali o meno, sono veritieri soprattutto quando pongono l’essere umano al centro degli eventi: realtà o finzione, paranormale o semplice psicologia, giocando col fuoco ci si può scottare. Fate una veloce ricerca e andate a leggere le esperienze di chi ha “giocato” con una tavola ouija e vedrete che, scherzi e finzioni a parte, anche da un punto di vista psicologico c’è poco da ridere: l’auto-condizionamento può far danni, anche molto gravi.
Ma torniamo a noi e torniamo a Ouija, opera prima di un Stiles White anche di co-sceneggiatore. Filmaccio pessimo che più brutto non si può, teen horror in chiave paranormale che sfrutta la nota tavola come pretesto per mettere alla berlina una storia che più banale non si può e personaggi a cui si prova a dare uno spessore ma che si afflosciano su loro stessi come palloncini sgonfi. Il nulla formato digitale che vorrebbe spaventare e non ci riesce (o meglio, lo fa con il solito boooh alle spalle, ma a far quello sono bravi tutti), vorrebbe inquietare ma peggio che andar di notte, vorrebbe svelare un lato drammatico ma il vero dramma è la visione del film. Ci si vorrebbe addormentare lungo gli 89 minuti di strazio ma anche quello è impossibile viste le continue urla di personaggi che neanche si ha voglia di vedere morti, tanto sono insignificanti. Niente sangue, un colpo ad effetto (??) da quinta elementare sul finale e poi noti che tra i produttori del film c’è la Hasbro. E capisci tutto.
Ripeto: questo non è cinema. Un film brutto può esserlo tranquillamente ma questo no. Questo Ouija è un prodotto commerciale, una lunga e noiosa pubblicità su un giocattolo, marketing spilorcio ma funzionale: quanti ragazzini sono andati a vederlo? Quanti compreranno o hanno comprato una tavoletta per “sperimentare” di persona? Alla fine la riuscita di Ouija non conta, contano gli effetti immediati di una schifezza del genere. E intanto il mondo horror piange e il teen horror viene affossato. Un tempo questo sotto genere l’industria l’aveva salvata, ma ormai restano solo le macerie in attesa di un nuovo inizio.
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