ZeroZeroZero (Feltrinelli), l’ultimo libro di Roberto Saviano ”è il più importante dell’anno”. Lo scrive Ed Vulliamy sul Guardian a proposito del romanzo-verità uscito in Italia nel 2013. ”E’ il più valido mai scritto su come funziona l’impero del narco-traffico. Dice cio’ che si deve sapere alla fine di un altro anno di guerra per la droga, ulteriormente estesa e profonda, che dice cose che non non apprenderemo dalle serie tv Narcos e Breaking Bad nè dai report ufficiali”.
Pablo Escobar è stato “il primo a capire che non è il mondo della cocaina ad orbitare attorno ai mercati, ma i mercati a ruotare attorno alla cocaina”.
Di sicuro Escobar non l’ha detto proprio in questi termini: questa eretica verità è stata esplicitata da Roberto Saviano nel suo ultimo libro, Zero Zero Zero, il più importante dell’anno e sicuramente il più valido che sia mai stato scritto sul narcotraffico. Questo, di fatti, è un libro che dice ciò che deve essere detto alla fine di un altro anno di guerre per droga, che si diffondono in lungo e largo e in profondità, e sicuramente racconta ciò che non imparerete da Narcos, Breaking Bad o i numerosi report ufficiali.
La presa di coscienza che il capitalismo della cocaina è centrale nel nostro universo economico ha fatto di Escobar il Copernico del crimine organizzato, sostiene Saviano, aggiungendo: “Nessun business nel mondo è così dinamico, così incredibilmente innovativo, così leale nei confronti dello spirito del libero mercato come il business globale della cocaina.” Suona semplice, ma non lo è – è rivoluzionario e, dice Saviano, spiega il mondo.
Avrei dovuto discutere di Zero Zero Zero con Saviano – che vive sotto protezione 24 ore al giorno, 7 giorni a settimana, dopo alcune minacce di morte successive alla pubblicazione di Gomorra, il suo libro sulla mafia napoletana – al Hay Arequipa book festival in Peru, questo mese. Ma Saviano non è riuscito a presenziare, a causa delle difficoltà di coordinare sempre i suoi spostamenti. Da otto anni vive in località segrete, con una scorta permanente di sette carabinieri, passando raramente più di due notti nello stesso letto. Un video collegamento con il Peru’ si è dimostrato particolarmente complicato, ma ciò che Saviano aveva da dire è troppo importante, troppo urgente e troppo radicale per perdersi nei problemi di logistica. Alla fine siamo riusciti a parlare per telefono lo scorso weekend.
“Il Capitalismo”, ha detto Saviano, “ha bisogno di associazioni criminali e mercati criminali…Questa è la cosa più difficile da comunicare. Le persone – anche coloro che si occupano di crimine organizzato – tendono a non notare questo fattore, insistendo sulla separazione tra il mercato nero e il mercato legale. E’ la mentalità che porta le persone, in Europa e negli USA, a pensare al mafioso in prigione come ad un gangster. Ma non lo è, anzi, è un businessman, un uomo in carriera, e il suo business, il mercato nero, è divenuto il più grande mercato del mondo.”
Questa è la sagace eresia di Saviano. Per decenni, scrivere di mafia globale ha presupposto l’impostazione da scisma Manicheo tra ladri e poliziotti; la nostra società in salute e l’applicazione della legge da una parte contrapposti al crimine organizzato dall’altra (con alcuni errori occasionali da parte dei primi). Ma il sentiero indicato da Saviano e pochi altri ha demolito questa relazione, ed è stato oltretutto corroborato da ogni recente sviluppo nel narco-incubo vissuto quotidianamente in Messico, inclusa in special modo la fuga, ancora una volta, dell’erede al trono di Escobar, Joaquin “Chapo” Guzman, da un cosiddetto carcere di massima sicurezza. I cartelli dei narcotrafficanti come quello di Guzman non sono avversari del capitalismo globale, ma nemmeno sue parodie; sono parte integrante – e pionieri – del libero mercato. Sono, in pratica, il modello di riferimento del libero mercato.
Abbiamo sentito molto, in questi giorni, sui pro e contro della legalizzazione delle droghe, ma molto poco sul narcotraffico come economia politica. Ora Saviano articola e dimostra ciò che tanti di noi che scrivono di mafia hanno tentato per anni di gridare a pieni polmoni dai tetti, solo che nessuno di noi è salito abbastanza in alto, ha urlato così forte o reso il messaggio così cristallino come ha fatto lui. Eccola dunque, la bugia di ogni linea separatoria tra legale e illegale. Eccola, messa a nudo: il cartello come una grande azienda, la grande azienda come il cartello; la cocaina come puro capitalismo, il capitalismo come la cocaina, conosciuta nella sua forma più pura con il nome di zero-zero-zero – un ironico riferimento al nome dato alla farina migliore, ideale per la pasta.
Saviano scrive un reportage letterario con il suo distinto stile di narrativa, la sua cifra stilistica, immediatamente informativa ed impressionistica. Apre Zero Zero Zero con una feroce riflessione tragicomica su chi, nella vita del lettore, può fare uso di cocaina: “Se non è tua madre o tuo padre…allora è il boss. O la segretaria del boss…o l’oncologo…i camerieri che lavoreranno al matrimonio… Se non loro, allora il consigliere comunale che ha appena approvato il progetto per le nuove zone pedonali.” In sessanta pagine ha messo a nudo il sistema per mezzo del quale – e per quali ragioni – la polvere bianca arriva fino al nostro naso. “La cocaina”, conclude applicando la logica da business school, “è un bene sicuro. La cocaina è un bene anticiclico. La cocaina è un bene che non conosce e non teme scarsità di risorse o inflazione dei mercati.” Certo, il capitalismo della cocaina – come accade sfacciatamente per ogni altro bene, e possibilmente anche di più – ha “entrambi i piedi ben piantati nella povertà… e nel lavoro non qualificato, un mare di soggetti interscambiabili, che perpetrano il sistema di sfruttamento di molti e di arricchimento di pochi”.
“La cocaina diviene, in pratica, un prodotto paragonabile a oro e petrolio,” aggiunge durante la nostra conversazione, “ma più economicamente potente di oro e petrolio. Con questi altri beni, infatti, se non hai accesso a miniere e pozzi è difficile entrare nel mercato. Con la cocaina non funziona così. Il terreno è coltivato da contadini disperati, il cui prodotto si può accumulare in enormi quantità di capitale e denaro, in pochissimo tempo.
Se stai vendendo diamanti, devi prima farli autenticare, ottenere una licenza – con la cocaina questi passaggi non servono. Qualunque qualità tu abbia, puoi venderla immediatamente. Sei in perfetta sintesi con la vita quotidiana e con l’ethos del mercato globale – e l’ignoranza dei politici occidentali nel comprendere questo passaggio è sconcertante. Se il mondo europeo, e il mondo americano, non comprendono questi sistemi di forze, è perchè non hanno la volontà di comprendere il funzionamento del narcotraffico.”
In un precedente libro, che presto verrà tradotto in inglese, dal titolo Vieni via con me, Saviano ha parlato di “ecomafia” per cui è “sempre fondamentale prestare attenzione ai terreni e agli spazi in cui si può nascondere e proliferare”, esattamente come fa una società per ritagliarsi uno spazio nel mercato. In Zero Zero Zero, Saviano scrive di quella che potrebbe essere chiamata la genealogia delle narco-associazioni, dal periodo paternalistico del “capitalismo conservativo” alla snella e squallida multinazionale che è diventata: comprando banche fallite, lavorando sull’economia del credito, subentrando alle banche nei prestiti. Permeando il sistema finche’ non è divenuto indistinto da esso, totalmente aderente, fino ad ora che (scrive Saviano in Vieni Via Con Me): “la democrazia è letteralmente in pericolo” e noi siamo diventati “tutti uguali, tutti contaminati… nella macchina del fango”.
“Quindi la storia del narcotraffico”, dice adesso, “non è qualcosa che succede lontano da noi. Le persone preferiscono pensare alla violenza disgustosa come a qualcosa di distante da loro, ma non lo è. La nostra intera economia è pervasa da questa narrativa.”
Per alcune ragioni, dice, il mondo Anglo-Sassone è più lento a comprendere l’innata criminalità del sistema “legale” rispetto a quanto lo sono le società latine. “Penso che il mondo Anglo-Sassone, Anglo-Americano, sia infuso di un certo positivismo calvinista; le persone vogliono credere nella ‘buona salute’ della loro società”, dice Saviano, anche se “tutto questo significa che, per esempio, la City di Londra è divenuto un centro per il riciclaggio di denaro sporco molto più di quanto lo siano le Isole Cayman”.
La mafia, afferma, ha un modo particolare di consolidare la sua presenza e accrescere la sua forza, in un modo quasi Darwiniano, evoluzionistico: “la forza della mafia è questa. Se un mafioso combina un guaio, muore – e così si sviluppa un sistema di sopravvivenza. Quando fanno un errore, vengono uccisi e rimpiazzati da qualcuno ancora più spietato, così che l’organizzazione diventa più forte.”
All’inizio di quest’anno, scrivendo da New York, Saviano ha descritto la sua difficile vita sotto scorta per il Guardian, e in questo passo che segue lui chiede a se stesso, in modo commovente: “Ne è valsa davvero la pena?”
“Io scrivo di Napoli, ma Napoli si tappa le orecchie”, si rammarica Saviano. Scrive lui, “è un mio errore se gli articoli che continuo a scrivere sul sangue versato dal mercato della cocaina cadono miseramente su orecchie sorde.” Ogni giornalista o scrittore di queste tematiche sente in parte il peso di questi sentimenti, ma – a parte alcuni colleghi in Messico e Colombia – con un prezzo da pagare inferiore a quello pagato da Saviano: ovvero la sua libertà e la sua sicurezza.
“A volte penso di essere ossessionato”, riflette nel suo libro, ma “altre volte sono convinto che queste storie sono un modo per dire la verità”. Qui ce l’abbiamo, la verità. Sia che Saviano sia ossessionato o meno, si rende conto di una verità brutale: che capire il narcotraffico equivale a comprendere il mondo moderno. “Non potrai mai davvero capire come funziona il mercato globale se non capisci come funziona il narcotraffico”, dice nella nostra conversazione.
Un passaggio degno di nota in Zero Zero Zero spiega il perchè: una trascrizione di una registrazione dell’FBI di un esperto mafioso italiano che, a New York, istruisce dei giovani soldati messicani sulla differenza tra legge e “regole”. Le leggi ci sono per essere infrante, sottolinea, ma le regole dell’organizzazione sono sacrosante, sotto pena di morte. “La legge si suppone essere applicabile a tutti,” Saviano mi dice, “ma le regole sono fatte dai cosiddetti ‘uomini d’onore’. Questo è il modo in cui il narcotraffico spiega il mondo, ricomprendendo tutte le contraddizioni di esso. Per aver successo nel narcotraffico, devi applicare le regole per infrangere la legge dello stato. E oggi, ogni grande corporation può aver successo solo se adotta lo stesso principio – se le regole lo esigono, deve infrangere la legge.”
(articolo di Ed Vulliamy pubblicato sul quotidiano The Guardian del 26/12/2015 – fonte aduc)