Non sono un esperto di teatro e quindi scrivo questa recensione, come semplice fruitore di un bellissimo spettacolo, che ho visto ieri a Popoli nell’ex birrificio Heineken: Giorni felici tratto da Happy Days di Samuel Beckett, per la regia di Claudio Di Scanno, la strepitosa Susanna Costaglione ed il sorprendente Marco Di Blasio. Le scenografie sono ad opera di Gianni Colangelo Mad e l’allestimento delle luci è di Dario Marcheggiani.
La prima sensazione che ho provato, è stata il senso di claustrofobia, che durante lo svolgersi del dramma è aumentata di intensità. Sperduto, rinchiuso, senza una vera prospettiva del domani, imprigionato e “maltrattato” da un mancato futuro, ineluttabilmente proiettato al passato. Vi giuro è stato come ricevere dei “cazzotti nello stomaco”, mentre ero letteralmente catapultato nella misera condizione esistenziale della protagonista e di suo marito…ma andiamo per ordine…
Winnie, interpretata da una straordinaria ed intensa Susanna Costaglione, è una donna sulla mezza età che è sepolta fino alla vita in un alto cumulo di sabbia. Ha una sporta piena di oggetti tra i quali un pettine, uno spazzolino da denti, un dentifricio, un rossetto, ed un specchietto. Ha anche un parasole ed una rivoltella, che ama accarezzare ed “assaporate”. Winnie, apparentemente, sembra felice della sua esistenza, seppure fatta di immobilità, perché nonostante tutto, afferma “senza ombra di dubbio che quello sarà sicuramente un altro giorno felice”.
Il marito Willie, interpretato da Marco Di Balsio, è un uomo dal cranio sfondato e “vuoto” che ama suonare un pianoforte giocattolo, il quale vive in una cavità del cumulo di sabbia quasi fuori dal campo visivo di Winnie. Willie al contrario della moglie, può ancora muoversi, anche se lo fa come un pupazzo di pezza spinto da una volontà appartenente ad altri… Willie esce dal suo buco solo per leggere il giornale e per masturbarsi, seduto dietro al mucchio di sabbia e con le spalle rivolte al pubblico. Winnie “chiacchiera” in continuazione e continuamente richiede a Willie una risposta. Willie si esprime a monosillabi, o leggendo piccole citazioni dal giornale e solo per conferma che riesce ad ascoltarla. Offre due soli “si” alla moglie. I due non interagiscono realmente. La pièce si conclude con Willie vestito elegantemente, in una sorta di deserto post-futuristico, seduto non molto distante da Winnie che si trova all’interno di una bara…
L’immobilità di movimento di Winnie, a mio parere è una metafora dell’immobilismo dei rapporti tra le persone, le quali fingono che sia un giorno felice, quando in realtà sono prigioniere di un “buco” nel quale stanno morendo poco a poco. Il continuo “blaterare” di Winnie rappresenta l’incomunicabilità, che oggi più che mai, “affolla vuotamente” i dialoghi tra le persone. Di Scanno riesce a rendere scarno, impietoso, disperato, estremo il processo di riscatto dell’esseremo umano, che lotta senza riuscirci, rendendo tale processo fastidioso (per chi osserva), poiché si riflette in un’immagine, mediante la finzione che rappresenta la misera realtà dell’esistere quotidiano, giungendo alla fine quasi al ridicolo…
E’ una condizione, come ho scritto, disperata ed estrema che è resa ancora più tangibile dalla rivoltella che Winnie accarezza e “assapora”, e che tiene solo, perché a suo dire il marito potrebbe volerla utilizzare, e che lei, grande sconfitta, non può utilizzare perché sarebbe l’ammissione dell’assenza di “giorni felici” e quindi la presa di coscienza di una vita insignificante e vanamente vuota.
Posso solo aggiungere, che tanta bravura da parte di Claudio, Susanna, Marco e di tutto lo staff creativo, merita decisamente platee più ampie.
Il teatro, questo teatro è pura alchimia…è pura arte…