Nell’edizione numero 70, con una Claudia Cardinale sorridente sul manifesto, Monica Bellucci madrina, e ben 6 film italiani sulla Croisette, il Festival di Cannes rende un ulteriore importante omaggio e attenzione al nostro cinema con la proiezione nella sezione Cannes Classics di un film-mito: Blow-Up di Michelangelo Antonioni, capolavoro del 1966, presentato, in occasione dei 50 anni dalla Palma d’Oro (che allora si chiamava Grand Prix) vinta nel 1967, nella nuova versione restaurata da Cineteca di Bologna, Istituto Luce – Cinecittà e Criterion, in collaborazione con Warner Bros. e Park Circus presso i laboratori Criterion di New York e L’Immagine Ritrovata di Bologna.
Un film che da tre generazioni rappresenta un autentico culto per cineasti e spettatori nel mondo, un culto modificato nel tempo e dalle percezioni, ma non nella magnetica fascinazione dei suoi tanti livelli di stile, e nel mistero e le domande che ancora pone a chi lo vede.
Dal 1967 l’indagine del fotografo Thomas – un irripetibile David Hemmings, capace di variare toni dall’allucinatorio al crudele, dal fatuo al fraterno per ogni spettatore che ci si riconosce – non cessa di essere un emblema del cinema contemporaneo.
Molto liberamente tratto da un racconto di un genio del Novecento come Julio Cortazar, sceneggiato da Antonioni con Tonino Guerra e il drammaturgo Edward Bond, Blow-Up dava un precipitato, nella swinging London degli anni Sessanta, di quasi tutti i temi e sensibilità che sarebbero esplosi con il postmoderno. Dallo studio sulla città al potere conturbante degli oggetti (la mitica elica, i jeans bianchi e la macchina di Hemmings, la chitarra sfasciata di un concerto degli Yardbirds, fino al rullino fotografico, quasi un protagonista della trama), ai rapporti spaziali tra le persone, l’ossessione della moda, la confusione dei generi – in un noir filosofico che ha per protagonista un fotografo di senzatetto e modelle – e su tutto la crisi del concetto di verità, che, nell’intreccio “giallo” di un possibile testimone di un omicidio, diventa riflessione sull’impossibilità di conoscere completamente un fatto, una persona, un tempo. Fino a uno dei finali più noti e citati di tutta la storia del cinema, in cui come un nipote stralunato del Piccolo Principe, di fronte a un’impossibile partita di tennis e alla propria sconfitta, Thomas capisce che l’essenziale è invisibile agli occhi.
Questi e altri segni impressi sulla pellicola fanno di Blow-Up un oggetto attuale di passioni, analisi e discussioni per i cinefili di tutti i continenti, con influenze che spaziano da Coppola a Wenders, Dario Argento e Greenaway (per non citarne che alcuni), e un personaggio e un’atmosfera che con il passare di mode e tempo, sono ancora coinvolgenti.
Il restauro del film vede la supervisione di un maestro contemporaneo della fotografia come Luca Bigazzi, in ideale collegamento con il direttore della fotografia di Antonioni, il grande Carlo Di Palma, il cui splendido omaggio-documentario Acqua e zucchero – Carlo Di Palma, i colori della vita, diretto da Fariborz Kamkari, prodotto da Acek e distribuito da Istituto Luce – Cinecittà, è stato appena presentato a Cannes in due proiezioni di mercato, sabato 20 e domenica 21 maggio.
Una coincidenza felice per un film come Blow-Up, che come pochi celebra magia e limiti, ossessioni e desideri dell’immagine fotografica, della riproduzione, di ciò che si può – e non si può – ‘vedere’. Una celebrazione di quella forma e stile, di quel mistero della vita, che chiamiamo cinema.