Sono senza dubbio gli ultimi chiodi nella bara dei neocotinoidi. Due studi, uno britannico, l’altro canadese, pubblicati venerdi’ 30 giugno dalla rivista Science, spengono gli ultimi dubbi che potrebbero, eventualmente, sussistere sui danni provocati da queste nuove generazioni di insetticidi agricoli sull’impollinamento. Introdotti negli anni 1990, i neocotinoidi sono sospettati da lungo tempo di essere una causa determinante nel declino mondiale delle api domestiche, degli impollinatori selvaggi e, indirettamente, degli uccelli.
Molto controversi, questi pesticidi sono principalmente utilizzati con metodo preventivo, irrorando le sementi: quando le piante trattate crescono, tutti i loro tessuti (foglie, steli, polline, nettare, etc) s’impregnano di questa sostanza tossica. Condotti ad un livello inedito, i due nuovi studi mostrano una sopravvivenza ridotta dei raccoglitori, una fertilita’ diminuita ed una mortalita’ invernale aumentata delle colonie di api domestiche esposte in condizioni reali a due neocotinoidi, il thiamethoxam e il clothianidin. Le osservazioni condotte sugli impollinatori selvaggi mostrano effetti deleteri piu’ marcati.
Risultato diverso in Germania
Il primo esperimento condotto da Ben Woodcock (Centre for Ecology and Hydrology), e’ stato fatto su undici siti diversi, ripartiti in tre Paesi (Germania, Regno Unito ed Ungheria). E in ogni sito, tre coltivazioni agricole avevano piantato della colza: due coltivazioni erano state trattate con un neocotinoide (thiamethoxam o clothianidin), ed un’altra non era stata trattata. Diverse decine di ettari ne sono stati coinvolti.
“E’ il piu’vasto esperimento ad aria aperta fatto sull’impatto dei neocotinoidi sulle api”, precisa il biologo Dave Goulson (Universita’ di Sussex), che non ha partecipato a questi lavori -poco sospetti di essere anti-industria poiche’ finanziati dalle aziende agrochimice Bayer e Syngenta. In ogni coltivazione, lo stato di salute delle tre specie di impollinatori -l’ape domestica (Apis mellifera), il calabrone terrestre (Bombus terrestris) e la osmia rossa (Osmia bicornis), una specie di ape solitaria- e’ stato seguito da uno a due anni.
Gli effetti dei trattamenti a base di neocotinoidi dipendono da diversi fattori, ma l’impatto e’ globalmente negativo. “Il loro impatto sul potenziale riproduttore di questi insetti varia in funzione delle specie e delle regioni, spiega il biologo Jeremy Kerr (Universita’ di Ottawa), che non ha partecipato a questi lavori, in un commento pubblicato da Science. Per esempio, la quantita’ di api domestiche operaie che sopravvivono all’inverno era piu’ basso in Ungheria, con il trattamento alla clothianidin, che non quello rilevato in Germania”.
Se gli effetti osservati sembrano minori in Germania, questo puo’ essere, spiegano gli autori, perche’ la proporzione di colza trattata dalle api era minore, poiche’ esse in Ungheria e Regno Unito, nel loro ambiente, avevano avuto meno accesso ad esse, a vantaggio di altre piante. L’esposizione alla colza trattata e’ stata senza dubbio inferiore oltre-Reno.
Ma un’altra spiegazione riguarda forse l’indicatore utilizzato, dice Walter Haefeker, presidente dell’Associazione europea degli apicoltori professionali: “Seguire la quantita’ di individui negli alveari e’ difficile e puo’ produrre valutazioni imprecise. Seguendo un indicatore ben piu’ semplice, come il tasso di sopravvivenza delle colonie, si vede nei dati forniti dagli autori che, anche in Germania, il 100% delle colonie non esposte sopravvivono, cosa che invece non accade per quelle che vi sono esposte”. Chiaramente, secondo Haekeker, l’eccezione tedesca non sarebbe realmente una.
Per gli impollinatori selvaggi, la situazione e’ senza appello: in tutte le situazioni, “i calabroni producono meno regine, e le api solitarie producono meno larve quando l’esposizione ai neocotinoidi e’ alta”, spiega Jeremy Kerr. Questa esposizione non e’ comunque solo il fatto dell’esperienza condotta: essa proviene anche dall’impregnamento dell’ambiente.
Alveare sperimentale
“Un altro risultato importante di questo lavoro e’ che gli autori ritrovano dell’imidacloprid ovunque, anche quando le colture non sono state trattate con questa molecola, confermando i lavori recenti dell’équipe Ecobee, in Francia, dice Gérard Arnold, direttore della ricerca emerita al CNRS e specialista un queste materie. La sua lunga persistenza conduce conduce ad una contaminazione dei suoli e delle relative colture, cosa preoccupante in particolare per gli insetti impollinatori”.
Altre recenti ricerche, conferma Dave Goulson, “hanno mostrato che i neocotinoidi contaminano frequentemente i fiori selvaggi”. Queste contaminazioni restano a livello di tracce, ma queste sostanze sono nell’ambito le piu’ efficace mai messe a punto. Un solo grammo di imidacloprid puo’, per esempio, uccidere tante api quanto lo farebbero 7 chili del famoso DDT…
Il secondo studio pubblicato da Science, e’ stato condotto in due regioni canadesi di coltivazioni di mais. I ricercatori, guidati da Nadejda Tsvektov (Universita’ di York a Toronto, Canada), hanno studiato le colonie di undici alveari, alcuni vicini a dei campi di mais trattati con clothianidin, altre distanti diversi chilometri. Nonostante il mais sia impollinizzato dal vento e non dagli insetti impollinatori, le colonie vicine delle coltivazioni erano piu’ esposte ai neocotinoidi che non le colonie distanti.
“Gli autori hanno trovato una miscela di ventisette pesticidi, quattro dei quali neocotinoidi, nelle colonie vicine o lontane dei campi”, scrive Jeremy Kerr. Ma le colonie vicine ai campi sono state esposte ad un maggior numero di molecole, e per periodi piu’ lunghi, rispetto alle colonie piu’ lontane. Inoltre, una buona parte dell’esposizione avviene da parte dell’intermediario dei fiori selvaggi, contaminati dai trattamenti agricoli.
I ricercatori canadesi hanno in seguito cercato di distinguere l’effetto della clothianidin dagli effetti delle altre sostanze rilevate. Hanno introdotto in un alveare sperimentale non trattato, delle api che erano state esposte a del polline contaminato con clothianidin. Marcandole con delle micropulci elettroniche, hanno osservato le loro differenze. In media, la loro speranza di vita era ridotta di un quarto e il loro comportamento era diverso da quello degli individui non esposti, al punto da mettere in pericolo la vita della colonia.
“Questo risultato suggerisce che l’esposizione ai neocotinoidi potrebbe aiutare a spiegare la sindrome del crollo delle colonie”, descrive Jeremy Kerr. Alla luce dei nuovi lavori,conclude Dave Goulson, “e’ diventato insostenibile continuare ad affermare che l’uso agricolo dei neocotinoidi non crea danni alle api selvagge e domestiche”.
(articolo di Stéphane Foucart, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 30/06/2017)