E’ quello che viene chiamato “un annientamento biologico”. In uno studio molto allarmante, pubblicato lunedi’ 10 luglio in Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) dei ricercatori americani e messicani sono arrivati alla conclusione che le specie di vertebrati stanno calando in modo massiccio sulla Terra, sia per alcuni animali specifici che in generale. Una “defaunazione” con conseguenze potenzialmente “catastrofiche” per gli ecosistemi e con seri impatti ecologici, economici e sociali.
I due principali autori, Gerardo Ceballos (Universita’ nazionale autonoma di Messico) e Paul Ehrlich (Stanford) non sono al loro primo tentativo sul tema dell’erosione della biodiversita’. A giugno del 2015, avevano ga’ pubblicato un altro studio sulla rivista Science Advances che mostrava come la fauna della Terra era al limite e gia’ sul punto di subire una sesta estinzione di massa. Avevano calcolato che la scomparsa di speci si era moltiplicata per 100 dopo il 1900, cioe’ ad un ritmo senza equivalenti dopo l’estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa.
Scomparsa delle popolazioni
Questa volta, i ricercatori hanno cercato di quantificare il declino non solo di un numero di specie ma delle popolazioni, cioe’ di gruppi di animali su un territorio. “L’accento messo sull’estinzione delle specie puo’ dare l’impressione che la biodiversita’ terrestre non e’ drammaticamente e immediatamente minacciata, ma che sta entrando lentamente in una fase di maggiore erosione, che si potra’ combattere piu’ tardi”, spiegano gli autori.
Questo approccio presenza diverse carenze ai loro occhi: l’opinione pubblica non ce la fa a misurare la gravita’ del fenomeno in corso (due specie spariscono ogni anno, e questo sembrerebbe un debole segnale, soprattutto quando queste ultime sono poco conosciute o poco espanse). E questo non permette di correttamente valutare il problema in corso.
Le specie piu’ comuni registrano in effetti dei cali massicci dei loro effettivi, senza pertanto essere gia’ minacciate. “La scomparsa di popolazioni e’ un preludio a quella delle specie -dicono gli scienziati-. Un’analisi dettagliata del calo degli effettivi animali rende il problema ben piu’ chiaro ed inquietante”.
I ricercatori hanno allora fatto una vasta analisi, sulla meta’ delle specie di vertebrati conosciuti. Hanno esaminato le evoluzioni delle popolazioni di 27.600 specie di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi terrestri, ripartiti nei cinque continenti, utilizzando la base di dati della lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (UICN), che costituisce l’inventario mondiale piu’ completo sullo stato di conservazione della biodiversita’. Essi hanno ugualmente passato al setaccio, piu’ specificamente, 177 specie di mammiferi, per i quali si sono avvalsi di dati sull’area di ripartizione tra il 1900 e il 2015.
“La reale ampiezza dell’estinzione di massa che tocca la fauna e’ stata sottostimata: essa e’ catastrofica”, dicono. In totale, il 32% delle specie studiate in termini di popolazione e di estensione. Diversi mammiferi che stavano bene, sono uno o due decenni che sono in via
di estinzione.
Nel 2016, il Pianeta contava 7.000 ghepardi e 35.000 leoni africani (-43% dal 1993). Le popolazioni di orangotango del Borneo sono calate del 25% in questi ultiimi dieci anni, attestandosi a 80.000 individui, mentre quelle delle giraffe sono diminuite da 115.000 specie del 1985 a 97.000 nel 2015. Quelle dei pangolini sono semplicemente state decimate.
Il 35% delle specie in declino sono quelle comuni
Cio’ che si sa meno, e’ che circa il 30% di queste specie in declino sono considerate come comuni. Esse sono (ancora) classificate come “diminuzione preoccupante” e non “in pericolo” dall’UICN.
In Francia, il cardellino per esempio ha registrato un calo del 40% dei suoi effettivi da dieci anni. “Il fatto che delle specie comuni vedono i loro effettivi diminuire, e’ un segnale forte della gravita’ dell’estinzione biologica attuale”, dice Ceballos.
Tutti i contenuti sono coinvolti da questa erosione spettacolare della biodiversita’. Le zone piu’ toccate, essenzialmente per mammiferi e uccelli, sono quelle situate ai Tropici (Amazzonia, bacino del Congo, Asia del sud-est) perche’ sono le piu’ ricche in termini di fauna. Ma le regioni moderate registrano dei tassi similari che pero’ sono piu’ elevati in valore relativo -cioe’ comparati alla ricchezza della loro biodiversita’.
Corollario della perdita di effettivi, la fauna vede il suo territorio ritirarsi come la pelle al dolore. Tra le 177 specie di mammiferi osservati piu’ specificamente dallo studio, il 40% hanno perso l’80% della loro zona di ripartizione storica dal 1900.
Caso emblematico, il leone ha a lungo regnato nella maggior parte dell’Africa, del sud dell’Europa e del Medio Oriente, fino al nord-est dell’India; oggi si conta solo un pugno di popolazioni disperse in Africa subsahariana e una popolazione nella foresta di Gir in India.
In totale, piu’ del 50% degli animali sono scomparsi in quaranta anni, stimano gli scienziati, qualificando i risultati come “prudenti”. Le conclusioni confermano quelle dell’ultimo rapporto “Pianeta vivente”, pubblicato ad ottobre del 2016 dal Fondo mondiale per la natura (WWF): che concludeva che le popolazioni di vertebrati sono calate del 58% tra il 1970 e il 2012. L’interesse del nuovo studio, pubblicato su PNAS, risiede nell’analisi di dati ben piu’ vasti (27.600 specie esaminate rispetto alle 3.700 del WWF) e l’analisi geografica.
Due o tre decenni per agire
“L’approccio di questo studio e’ molto interessante: invece di focalizzare sulle estinzioni, che sono difficili da quantificare, esso si concentra sull’evoluzione delle popolazioni, che conferma e insiste sulla gravita’ della situazione”, dice Benoit Fontaine, biologo della conservazione al Museo nazionale di storia naturale, che non ha partecipato allo studio.
“Questa pubblicazione mostra che la situazione e’ molto allarmante, piu’ di quanto faccia vedere la nostra lista rossa”, dice Florian Kirchner, incaricato del programma “specie” per la branca francese dell’UICN, che avanza una riserva: avere concentrato l’analisi sui soli vertebrati terrestri -i piu’ studiati- e non anche i pesci, gli invertebrati e le piante, le cui popolazioni diminuiscono anch’esse in modo massiccio.
Secondo l’UICN, il 42% delle specie invertebrate terrestri (farfalle, vermi di terra, etc) e il 25% di quelle di invertebrati marini (come i bivalvi e le spugne) sono minacciate di estinzione.
Le cause di questi cali sono sotto l’effetto dell’agricoltura, dei disboscamenti, dell’urbanizzazione o delle estrazioni minerarie. Vengono poi i sovrasfruttamenti delle specie (caccia, pesca, bracconaggio), l’inquinamento, le specie invasive, le malattie e, piu’ di recente, il cambiamento climatico.
“I motori ultimi della sesta estinzione di massa sono meno spesso citati. Si tratta della sovrapopolazione umana, legata ad una crescita continua della popolazione, e al superconsumo, in particolare da parte dei ricchi”.
“Noi non disponiamo che di una piccola finestra per agire, due o tre decenni al massimo”. Ne va della sopravvivenza della biodiversita’ ma anche dell’umanita’. “L’erosione delle specie porta delle gravi conseguenze a cascata sull’insieme degli ecosistemi, cosi’ come impatti economici e sociali per l’essere umano”, ricorda Gerardo Ceballos. La fauna e la flora ci danno infatti diversi servizi, che si tratti dell’impollinazione, del miglioramento della produttivita’ delle terre, dell’igiene dell’aria e dell’acqua o dello stoccaggio del CO2.
Tra le azioni prioritarie, gli scienziati chiedono che si riduca la crescita della popolazione umana e dei suoi consumi, di utilizzare tecnologie piu’ efficaci e meno consumatrici, di bloccare il commercio delle specie in via di estinzione o di aiutare i Paesi in via di sviluppo a mantenere gli habitat naturali e proteggere la loro biodiversita’.
(articolo di Audrey Garric, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 11/07/2017 – fonte aduc)