Gli esseri umani mostrano una diffusa avversione alla diseguaglianza. Pare che nella pratica le nostre societa’ abbiano una tendenza naturale alla concentrazione delle risorse. Studi sull’evoluzione della diseguaglianza durante gli ultimi secoli, mostrano un incremento graduale che si e’ invertito solo in occasione di grandi catastrofi. La peste nera che colpi piu’ di un quarto della popolazione europea o le due guerre mondiali, si trovano nei rari periodi in cui l’uguaglianza e’ cresciuta. I disastri permettono di prendere dalle loro trincee i potenti e obbligarli a cedere parte della loro ricchezza. Cosi’ si migliorano le opzioni delle generazioni del futuro, ma al costo di una sofferenza illimitata per chi vive questa rivoluzione.
Questa puo’ essere una delle spiegazioni ai risultati di un articolo pubblicato recentemente sulla rivista Nature Human Behviour, in cui si puo’ trovare parte del problema per cui la disuguaglianza sopravvive anche se a nessuno piace. La chiave si trova in un altro fattore che, anche se non sempre, suole essere associato alla ricchezza: la gerarchia. Il lavoro ideologico della classe dominante per mantenere il proprio status e’ fondamentale. Platone assicurava che rompere la rigida separazione tra le tre classi sociali che descriveva ne “La Republica”, e’ “il maggior danno che si puo’ fare alla citta’”. Confucio affermava una cosa simile quando diceva “lascia che il sovrano sia sovrano, che il suddito sia suddito, che il figlio, figlio”. Pare che gli umani condividano un istinto naturale con altri animali per mantenere le gerarchie esistenti. Questo si deve al fatto che, se si cerca il benessere comune, si migliorano le possibilita’ di sopravvivenza della maggior parte riducendo la violenza all’interno del gruppo. Dal punto di vista individuale la gerarchia soddisfa una domanda di struttura e dal punto di vista del gruppo la differenziazione gerarchica incrementa la cooperazione e l’affettivita’.
Per far si’ di capire come gli umani gestiscono questi impulsi contraddittori, un gruppo di ricercatori guidato da Xinyue Zhou, dell’Universita’ di Zhejiang di Hangzhou (Cina), ha realizzato una serie di esperimenti economici a cui hanno partecipato piu di mille persone in India, Cina e Usa. E’ stato testato un gruppo di pastori tibetani per verificare se si trovavano differenze con individui senza tanta esposizione all’economia di mercato. In questi esperimenti, i partecipanti dovevano distribuire piccole quantita’ di denaro che erano state ripartite in modo diseguale tra le persone. Nel farlo, adempiendo al gusto umano per l’equita’, tendevano a ridurre disuguaglianze, ma non al punto da rendere ricco il povero e povero il ricco. Solo il 23,1% dei partecipanti ha rifiutato la redistribuzione fintanto che lo status quo non si e’ lacerato. Quando redistribuire le proprieta’ di ogni individuo nella quantita’ proposta dai ricercatori portava a reinvertire la gerarchia iniziale, il 55,2% dei partecipanti preferiva non farlo. Tra i pastori tibetani, il rifiuto a cambiare l’ordine iniziale e’ stato anche maggiore.
Oltre ad offrire prove su questa apparente contraddizione umana tra il rifiuto alla disuguaglianza ed a invertire le gerarchie, gli autori hanno realizzato esperimenti per provare da quale eta’ cominciano a comparire queste tendenze. Mentre la prima e’ gia’ presente a partire dai quattro o cinque anni di eta’, la seconda non appare fino a sei o sette e si sviluppa tra i sette e i dieci anni.
Gli autori considerano che questo tipo di risultati possono servire per comprendere perche’ in alcune occasioni si incontra una forte opposizione a politiche pubbliche che possono ridurre la disparita degli introiti in una societa’, incluso quando si pregiudicano coloro che hanno di piu’. Alcuni studi hanno mostrato che la gente che guadagna appena sopra il salario minimo, e’ quella che ha maggiori probabilita’ di opporsi a che il salario minimo si incrementi, per timore di perdere il proprio rango. Inoltre menzionano che la posizione delle istituzioni rispetto a questa avversione al cambio gerarchico, e’ complicata, perche’ sebbene perorino l’eguaglianza, questa stessa allergia al cambio e’ un fattore fondamentale per la sopravvivenza di queste istituzioni.
La possibilita’ che questo rifiuto al cambio sia integrato nella nostra psicologia per questioni evolutive, si riflette in un altro studio pubblicato nel 2015 da ricercatori dell’Universita’ dell’Arkansas (Usa). In questo, si trattava di relazionare il maggiore o minore sforzo cognitivo che richiedeva seguire valori egualitari o gerarchici. Nel loro esperimento, hanno provato, per esempio, che una maggiore quantita’ di alcool nel sangue di un gruppo di persone in un bar, era relazionata con una maggiore preferenza per la gerarchia. Quando ad un altro gruppo fu chiesto di prendere decisioni rapide, furono dati maggiori consensi ai gruppi con status piu’ elevato. Con questo tipo di prove, dimostrarono che le strutture gerarchiche erano piu’ facile da analizzare e valorizzare e che prendere decisioni che favoriscano l’eguaglianza richiede uno sforzo mentale maggiore.
Negli ultimi anni, anche istituzioni molto liberali come il Fondo Monetario Internazionale o il Foro Economico Mondiale, hanno avvertito sui pericoli della crescente disuguaglianza. Xinyue e i suoi colleghi ci hanno mostrato che questo pericolo e’ radicato in un luogo molto profondo di ognuno di noi.
Questa puo’ essere una delle spiegazioni ai risultati di un articolo pubblicato recentemente sulla rivista Nature Human Behviour, in cui si puo’ trovare parte del problema per cui la disuguaglianza sopravvive anche se a nessuno piace. La chiave si trova in un altro fattore che, anche se non sempre, suole essere associato alla ricchezza: la gerarchia. Il lavoro ideologico della classe dominante per mantenere il proprio status e’ fondamentale. Platone assicurava che rompere la rigida separazione tra le tre classi sociali che descriveva ne “La Republica”, e’ “il maggior danno che si puo’ fare alla citta’”. Confucio affermava una cosa simile quando diceva “lascia che il sovrano sia sovrano, che il suddito sia suddito, che il figlio, figlio”. Pare che gli umani condividano un istinto naturale con altri animali per mantenere le gerarchie esistenti. Questo si deve al fatto che, se si cerca il benessere comune, si migliorano le possibilita’ di sopravvivenza della maggior parte riducendo la violenza all’interno del gruppo. Dal punto di vista individuale la gerarchia soddisfa una domanda di struttura e dal punto di vista del gruppo la differenziazione gerarchica incrementa la cooperazione e l’affettivita’.
Per far si’ di capire come gli umani gestiscono questi impulsi contraddittori, un gruppo di ricercatori guidato da Xinyue Zhou, dell’Universita’ di Zhejiang di Hangzhou (Cina), ha realizzato una serie di esperimenti economici a cui hanno partecipato piu di mille persone in India, Cina e Usa. E’ stato testato un gruppo di pastori tibetani per verificare se si trovavano differenze con individui senza tanta esposizione all’economia di mercato. In questi esperimenti, i partecipanti dovevano distribuire piccole quantita’ di denaro che erano state ripartite in modo diseguale tra le persone. Nel farlo, adempiendo al gusto umano per l’equita’, tendevano a ridurre disuguaglianze, ma non al punto da rendere ricco il povero e povero il ricco. Solo il 23,1% dei partecipanti ha rifiutato la redistribuzione fintanto che lo status quo non si e’ lacerato. Quando redistribuire le proprieta’ di ogni individuo nella quantita’ proposta dai ricercatori portava a reinvertire la gerarchia iniziale, il 55,2% dei partecipanti preferiva non farlo. Tra i pastori tibetani, il rifiuto a cambiare l’ordine iniziale e’ stato anche maggiore.
Oltre ad offrire prove su questa apparente contraddizione umana tra il rifiuto alla disuguaglianza ed a invertire le gerarchie, gli autori hanno realizzato esperimenti per provare da quale eta’ cominciano a comparire queste tendenze. Mentre la prima e’ gia’ presente a partire dai quattro o cinque anni di eta’, la seconda non appare fino a sei o sette e si sviluppa tra i sette e i dieci anni.
Gli autori considerano che questo tipo di risultati possono servire per comprendere perche’ in alcune occasioni si incontra una forte opposizione a politiche pubbliche che possono ridurre la disparita degli introiti in una societa’, incluso quando si pregiudicano coloro che hanno di piu’. Alcuni studi hanno mostrato che la gente che guadagna appena sopra il salario minimo, e’ quella che ha maggiori probabilita’ di opporsi a che il salario minimo si incrementi, per timore di perdere il proprio rango. Inoltre menzionano che la posizione delle istituzioni rispetto a questa avversione al cambio gerarchico, e’ complicata, perche’ sebbene perorino l’eguaglianza, questa stessa allergia al cambio e’ un fattore fondamentale per la sopravvivenza di queste istituzioni.
La possibilita’ che questo rifiuto al cambio sia integrato nella nostra psicologia per questioni evolutive, si riflette in un altro studio pubblicato nel 2015 da ricercatori dell’Universita’ dell’Arkansas (Usa). In questo, si trattava di relazionare il maggiore o minore sforzo cognitivo che richiedeva seguire valori egualitari o gerarchici. Nel loro esperimento, hanno provato, per esempio, che una maggiore quantita’ di alcool nel sangue di un gruppo di persone in un bar, era relazionata con una maggiore preferenza per la gerarchia. Quando ad un altro gruppo fu chiesto di prendere decisioni rapide, furono dati maggiori consensi ai gruppi con status piu’ elevato. Con questo tipo di prove, dimostrarono che le strutture gerarchiche erano piu’ facile da analizzare e valorizzare e che prendere decisioni che favoriscano l’eguaglianza richiede uno sforzo mentale maggiore.
Negli ultimi anni, anche istituzioni molto liberali come il Fondo Monetario Internazionale o il Foro Economico Mondiale, hanno avvertito sui pericoli della crescente disuguaglianza. Xinyue e i suoi colleghi ci hanno mostrato che questo pericolo e’ radicato in un luogo molto profondo di ognuno di noi.
(Articolo di Daniel Mediavilla, pubblicato sul quotidiano El Pais del 15/07/2017 – fonte aduc)
L’ALCHIMISTA NON percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille).
La sua forza sono iscrizioni e contributi donati da chi ci ritiene utile.