Il 6 luglio, Ademir de Souza Pereira e’ stato ucciso con colpi di arma da fuoco in piena strada Porto Velho, la capitale dello Stato brasiliano di Rondonia. Era membro della Lega dei contadini poveri di questo Stato e si opponeva all’agro-industria che aggredisce l’Amazzonia. Il 30 giugno, in Honduras, Bertha Zuniga Caceres, figlia della famosa ecologista Berta Caceres, assassinata a marzo 2016, e’ scampata a pelo ad un attacco insieme ad altri due membri del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (COPINH). La giovane donna ha ripreso l’ardore di sua madre, che lottava contro il megaprogetto dello sbarramento di Aqua Zarca, inposto senza alcuna trattativa col popolo lenca, a cui appartiene Berta Caceres.
Questi due recenti avvenimenti sono ben lungi dall’essere unici. Essi ci presentano una realta’ agghiacciante ed in piena espansione: le morti dei difensori dell’ambiente e dei diritti della terra. Nel 2016, almeno 200 di loro sono stati assassinati nel mondo, battendo il triste record del 2015 (almeno 185 morti). Ad oggi, nel 2017, gia’ 98 morti sono stati individuati. Non solo, “si tratta della punta di un iceberg, il numero reale e’ senza dubbio ben piu’ alto” poiche’ molte morti non sono segnalate, sottolinea la ONG britannica Global Witness, che ha pubblicato il 13 luglio il suo rapporto annuale in materia. Il numero dei Paesi toccati da questa violenza si estende: eran 24 nel 2016, rispetto a 16 nel 2015. Con il 60% dei morti, l’America latina e’ la regione piu’ pericolosa per chi, spesso, non si definisce un ecologista: essi vogliono semplicemente difendere le loro terre, le loro foreste o le loro coste a fronte della voracita’ delle compagnie minerarie e petrolifere (almeno 33 crimini accertati nel mondo), forestali (23) o agro-alimentari (23).
Fiammata di violenza
Il Brasile domina sempre la macabra classifica (49 morti). Il Nicaragua dove il gigantesco progetto del canale interoceanico minacce di espellere dalle loro terre piu’ di 120.000 indigeni- ha il maggior tasso di morti per abitante. E l’Honduras conserva questa sinistra palma negli ultimi dieci anni. La Colombia, anch’essa, e’ soggetta ad una fiammata di violenza (con un record storico di 37 ambientalisti uccisi), malgrado la firma degli accordi di pace con le FARC. “Puo’ essere a causa di questo”, dice il rapporto. E spiega questo apparente paradosso: “Le compagnie estrattive e i paramilitari desiderano prendersi le zone apparentemente sotto il controllo della guerriglia, e le comunita’ che vorrebbero ritornare sulle proprie terre sono attaccate”.
Le Filippine restano il Paese piu’ pericolo dell’Asia (28 morti). Mentre in India, dove il numero dei morti e’ triplicato, la polizia reprime nel sangue alcune manifestazioni pacifiche contro i progetti minerari, in particolare nel centro del Paese. In Bangladesh, sette attivisti sono stati uccisi, mentre nel 2015 nessuno era stato ucciso. Difendere i parchi nazionali e’ oggi “piu’ rischioso che mai”. Venti ranger e guardie forestali sono stati assassinati nel 2016 nel mondo, soprattutto in Africa: nove morti di ranger sono stati trovati nella Repubblica Democratica del Congo, dove i parchi sono preda di bracconieri, gruppi armati e compagnie petrolifere.
L’impunita’ regna
Gli indigeni le cui terre ancestrali sono occupate e saccheggiate senza il loro consenso, sono particolarmente vulnerabili: essi rappresentano circa il 40% delle vittime recensite dall’ONG nel 2016. Gli assassini sono sicari a pagamento, agenti dei servizi di sicurezza privata delle imprese, dei gruppi paramilitari, dei bracconieri, ma anche dei membri dell’Esercito o della polizia stessa. Nella maggior parte dei casi, l’impunita’ e’ sovrana. E se l’assassinio e’ il mezzo piu’ drammatico e spettacolare, tutta una serie di altri metodi sono utilizzati per cercare di ridurre al silenzio gli ambientalisti: minacce di morte, arresti, aggressioni sessuali, rapine, coinvolgimenti giudiziari.. Anche nei Paesi dove il numero di assassinati cala, come Peru’ e Indonesia, minacce, rapine e chiamate in giudizio penale continuano ad esserci. Un po’ ovunque, “dei potenti interessi politici, industriali e criminali si associano per marginalizzare i difensori dell’ambiente e qualificarli come ‘anti-sviluppo’ o ‘terroristi’”, deplora il rapporto.
“Questi ultimi difendono i diritti dell’uomo internazionalmente riconosciuti, come il diritto ad un ambiente sano, il diritto a manifestare o alla vita” e sono “la punta della lotta contro il cambiamento climatico”.
C’e’ da citare una tendenza inquietante: la criminalizzazione crescente degli attivisti, inclusa in Paesi come Australia, Canada o Usa. Nello Stato del Dakota del Nord, dove i Sioux protestano contro una pipeline, un progetto di legge e’ stato respinto agli inizi del 2017. Preveda una incriminazione per un autista che avesse investito ed ucciso un manifestante che stava facendo un blocco stradale. Una legislazione simile e’ stata approvata dalla Camera dei rappresentanti della Carolina del Nord.
(articolo di Coralie Schaun, pubblicato sul quotidiano Libération del 14/’7/2017)