Nessuno più di Juan Pablo, figlio di Pablo Escobar, il capo del cartello di Medellin che negli anni 80 e inizio dei 90 sconvolse col sangue la Colombia, conosce come il mondo del narcotraffico sia fatto dentro e fuori. Per questo, pensa che il miglior metodo per combatterlo sia “dichiarare la pace alle droghe”.
“Il metodo nordamericano di dichiarare la guerra e’ un gran business che porta molti dolalri a loro, ma molto sangue ai latinoamericani”, dice in una intervista con l’agenzia stampa EFE, prima di presentare oggi 16 luglio, in Guatemala “Pablo Escobar In fraganti, lo que mi padre nunca me contó” (“Pablo Escobar in flagrante, quello che mio padre non mi ha mai raccontato”).
In questo secondo libro sulla vita di suo padre, Juan Pablo racconta la capacita’ che aveva suo padre per “agire ai piu’ alti livelli di corruzione internazionale” e per questo ricorda una frase che lui gli disse il giorno in cui era recluso nel carcere Catedral: “Abbiamo finito per lavorare per quelli che ci perseguitano”.
E’ cosi’ che lo scrittore riassume le alleanze con il potere per far circolare le droghe. Gli operativi, le catture, non colpiscono il narcotraffico, che continua “vivo e tranquillo”, sono solo “panni di acqua tiepida” per un problema che dovrebbe essere affrontato nell’ottica della salute, perché dalla prospettiva militare è “una disperazione”.
Il business continua. Le droghe circolano e allo stesso prezzo, e questo e’ una dimostrazione della grande corruzione: “Il narco è una grande macchia nel Pianeta che si modifica prima che raggiunga l’autorità. Passa di mano”. Oggi e prima, come quando sua padre inviava 800 Kg di cocaina alla settimana in voli commerciali in Usa grazie all’appoggio della DEA e della CIA con la “la ruta del tren” (rotta del treno).
Juan Sebastian Marroquìn. Il suo nome legale, o Juan Pablo Escobar ricorda anche il poco tempo in cui ha dovuto scegliere un’identità prima di lasciare la sua nativa Colombia. Non fu facile trovare un nome che non fosse relazionato col narcotraffico. Anni dopo, non fugge più. Ti dico quello che viene detto, lui guarda.
E’ critico con quello che ha fatto suo padre -”non c’è nessuna giustificazione”- ma da più valore ai suoi insegnamenti: “Non mi ha mai detto di non seguire i miei passi. Mi diceva sempre di studiare, e mi trovava le opportunità che io stesso non trovo per me. Tu puoi scegliere, io non ho potuto”.
Io privilegio il cammino della pace, del perdono, che non quello dell’oblio, perché la memoria deve prevalere “soprattutto perché queste storie non si debbano ripetere. Oggi, 24 anni dopo che suo padre e’ morto, non si pente di questa decisione, perché “sarebbe morto”.
“Nonostante i rimpianti, oggi mi sento più ricco. Non ho soldi, ma ho la libertà, che vale oro. La fortuna di mio padre non servi’ per comprare un minuto di tranquillità, ne’ per se’ ne’ per i suoi cari. Non ne vale la pena”, ricorda e lamenta il fatto che suo padre non ha potuto veder crescere i suoi figli ne’ conoscere il suo nipote.
Ma a suo padre manco’ più ambizione. Se avesse avuto più pazienza sarebbe stato un grande imprenditore. Ma non lo è stato e a 44 anni -dominato dall’ideologia di uccidere chiunque gli tagliava “la strada delle sue ambizioni personali”- ha lasciato la vita. Si suicidò con un “grande atto di amore” per la sua famiglia. La realtà è che lui e la sua famiglia vivevano perché fossero uno dei maggiori clan del narcotraffico e non per quegli scenari idilliaci che mostrano i film su quello che fu uno degli uomini più ricchi e più ricercati del mondo.
“Più mio padre aveva potere, più poveri vivevamo. Questo non lo fa vedere Netflix”, dice con veemenza questo critico della “narco-serie”, che non solo fanno vedere una realtà parallela e falsa, ma creano anche “dei giovani emarginati desiderosi di essere narcotrafficanti”, grazie ad aver trasformato suo padre in “un’icona più che altro della cultura popolare”.
Juan Pablo riceve molti messaggi da giovani del Kenya, Marocco, Iran, Turchia o Palestina che chiedono consigli. Chiedono di essere come suo padre. Fanno minacce come lui e si vestono come lui. Questo è il messaggio sbagliato che trasmettono queste produzioni, ma ci sarebbe da insegnare che queste storie “non sono degne perché si ripetano. Come mio padre ha fatto con me.”.
I tempi hanno cambiato qualcosa. Ma i narcos continuano ad esserci in Colombia e nel mondo. Juan Pablo riconosce che il suo Paese e’ andato avanti perché ha sentito che si possono combattere le mafie “senza sparare un solo colpo”. Prima la differenza tra un poliziotto e un mafioso era l’uniforme.
Non esclude di scrivere di più su suo padre. Ogni volta che fa una ricerca, appare qualcosa di nuovo, è “una scatola delle sorprese” dove se cerchi ancora ci sono “più storie e più spazzatura”, ma ci sono altri segreti che si terra’ nella tomba: implicano “molta responsabilità”.
(da un lancio dell’agenzia stampa EFE del 16/07/2017)