Entrambi i tuoi film sono ambientati nel sud Italia in una città che si chiama Gioia Tauro. In MEDITERRANEA, ci hai portato nel mondo di due immigrati africani che cercavano la propria strada dopo un pericoloso viaggio. In A CIAMBRA, ci fa conoscere la famiglia Amato, appartenente ad una comunità rom. Come è stato il tuo primo incontro con la famiglia Amato? Puoi parlarci della comunità rom presente in Italia?
La prima volta che ho incontrato la famiglia Amato era il 2011, dopo che la mia Fiat Panda, con tutte le mie apparecchiature cinematografiche, era stata rubata. Eravamo a Gioia Tauro per girare A Chjana (il cortometraggio da cui poi sarebbe nato Mediterranea). A Gioia Tauro quando una macchina sparisce, la prima cosa da fare è “chiedere agli zingari”. Ed è stata la prima volta che ho visto la Ciambra. Mi sono innamorato immediatamente dell’energia di quel posto. Ogni volta che racconto questa storia, Pio dice di ricordarsi di avermi visto ma di non avermi notato, ma anche io non feci attenzione a lui, c’erano troppe cose da fare. Dovemmo aspettare tre giorni per riavere la macchina perché il nonno di Pio ( che ha ispirato il personaggio di Nonno Emiliano ) era appena morto e loro non potevano contrattare il riscatto per la macchina prima dei funerali. La processione durante il rito funebre mi impressionò talmente tanto che cinque anni dopo la riproposi nel film. Tutta questa vicenda ebbe un tale impatto su di me che di lì a poco iniziai la stesura della versione breve di A CIAMBRA. È difficile definire genericamente la condizione dei rom nella società italiana, e non ho lo
spazio qui per spiegare la complessità della loro situazione in Italia o in Europa. Ci sono quelli che hanno raggiunto le vette della criminalità organizzata, come i Casamonica a Roma; o gli operai che lavorano a giornata e che non si distinguono dagli altri italiani; o i nomadi che vivono in squallidi campi creati dallo stato nelle periferie delle più grandi città italiane; e posso fare anche altri esempi. Quello che è importante nel film è il ruolo che i rom della Ciambra svolgono a Gioia Tauro e la loro relazione con i nuovi immigrati africani arrivati nel Sud Italia. Penso che partendo da questo esempio, possiamo parlare di una condizione più universale, l’obiettivo del film non è mai stato fare luce su articolate questioni sociologiche. Sono interessato a Pio e Ayiya e penso che il film racconti in maniera articolata la loro relazione, punti di forza e limiti.
Pio Amato ruba la scena in MEDITERRANEA e nel tuo cortometraggio. Era tua intenzione scrivere un film su di lui e la sua famiglia? Quanto c’è di vero su di lui? Puoi descrivere il vostro rapporto.
Ho incontrato persone che avevano ogni sorta di opinione sull’argomento mentre stavo preparando Mediterranea, ma una cosa metteva tutti d’accordo, l’amore assoluto e l’apprezzamento per Pio. Pio ha, come dicono i miei amici a New Orleans, qualcosa. Qualsiasi cosa sia, Pio brilla di luce propria e l’ho percepito la seconda volta che l’ho incontrato. Avrei voluto fare un film nella Ciambra anche prima di incontrare Pio, prima che iniziassimo a girare Mediterranea. Sono arrivato alla Ciambra con un’idea primordiale di storia. Quando ho incontrato Pio, ho modificato la storia inserendo lui e la sua famiglia. Gli elementi biografici della famiglia Amato hanno finito per modificare e cambiare la storia allo stesso modo in cui la storia di Koudous Seihon ha influenzato Mediterranea. In entrambi i casi, dopo aver incontrato i veri protagonisti, ho cercato di rendere il film più simile possibile alle loro vicende, conservando una traccia della struttura drammaturgica. Nel caso di A CIAMBRA, il corto, ero interessato a raccontare la storia dei due fratelli. Dall’inverno del 2013 ho frequentato abitualmente la Ciambra per scegliere gli attori del film e la prima persona che ho scelto era il fratello più grande di Pio. Era così riluttante che uno dei produttori ha provato a convincermi a cercare qualcun altro. Non vedevo nessun altro adatto per il ruolo, gli sono stato dietro per mesi. Dopo circa una settimana dal mio arrivo alla Ciambra ho iniziato a far amicizia con Pio, e dopo la diffidenza iniziale era chiaro ad entrambi che il nostro sarebbe diventato un
rapporto davvero speciale. È difficile spiegare come è accaduto. Per molti versi il rapporto tra Pio e Ayiva nel film è una combinazione del rapporto che Pio ha con Koudous e del rapporto che ha con me.
La prima conferma di questo rapporto è stato che Pio mi ha aiutato a convincere il fratello a partecipare al film. È stato il nostro primo successo, più o meno.
Più o meno?
Dico “più o meno” perché in realtà il ruolo di Cosimo è interpretato da due gemelli, Cosimo e Damiano Amato. Avrei voluto Damiano ma per il corto ho dovuto lavorare quasi sempre con Cosimo perché Damiano non era disponibile. Alla fine quando è venuto il momento di girare il lungometraggio, Damiano si è convinto ed è stato una benedizione per il film.
Sei riuscito ad ottenere delle interpretazioni straordinarie da attori non professionisti, Pio Amato ( e la sua famiglia) in A CIAMBRA e Koudous Seihon in MEDITERRANEA così come di tutti gli altri locali in ruoli secondari. Qual è stato il tuo approccio nel lavoro con gli attori?
Il mio modo di lavorare con Pio è stato molto diverso da quello con Koudous, Iolanda, Pasquale o anche con mio padre, che interpreta il ruolo del signore a cui viene rubata l’auto. Se dovessi indicare un elemento ricorrente nel mio modo di lavorare, direi che è l’atmosfera che cerco sempre di creare sul set. Sono molto esigente nel limitare le persone che hanno accesso al set, chi può assistere alle riprese e così via. Poiché giriamo sempre in location reali, spesso nelle case delle persone, ho sempre fatto attenzione a non alterare troppo il ritmo naturale dei luoghi. Ho sempre detto alla troupe che siamo noi a dover adattare il nostro lavoro al luogo dove giriamo e non dobbiamo cercare di imporre la classica struttura cinematografica. Non avrebbe mai funzionato.
Penso che nella maggior parte dei casi siamo riusciti a mantenere un’atmosfera molto rilassata, dove le persone non si sentissero in mostra. Non penso avrei mai potuto ottenere le stesse interpretazioni se avessi portato il cast di A Ciambra a girare in uno studio a Roma, ad esempio. Ho passato molto tempo a cercare di buttare giù le barriere tra me e il cast. Non è stato solo un rapporto professionale. Si è creata una profonda familiarità tra di noi grazie alla quale loro hanno accettato di fare quello che gli chiedevo. Non ricordo chi lo ha detto recentemente: “Esistono due modi di dirigere. Uno stando fermi e domandando
agli attori di seguirti. E un’altra invece è andargli incontro e provare a portarli verso la direzione che pensi sia giusta”, preferisco il secondo approccio.
In che modo Martin Scorsese è stato coinvolto nella produzione del film? Ha influenzato il tuo modo di fare cinema?
Un paio di anni fa RT Features e Sikelia hanno creato un fondo per finanziare opere prime e seconde. I produttori di RT avevano visto Mediterranea, lo hanno apprezzato e lo hanno mostrato a Martin ed alla sua partner di produzione Emma Tillinger Koskoff e si sono mostrati immediatamente entusiasti e hanno finito per sostenere l’intero progetto. Sapevo da un anno che Martin Scorsese era uno dei produttori del film ma la cosa non mi è sembrata vera finché non
siamo arrivati all’ultima fase del montaggio. È stato al quel punto che la sua presenza si è fatta sentire ed è stato molto importante ricevere i suoi commenti sulle diverse versioni del film, cosa che sicuramente ha influenzato il risultato finale.
Qual è il tuo modo di rapportarti con la tua troupe? Preferisci lavorare sempre con le stesse persone e portarle con te da un progetto all’altro?
Sì. Giriamo film a Gioia Tauro dal 2011 e molti di coloro che c’erano all’inizio sono ancora una parte fondamentale del nostro team. Ad esempio, il mio scenografo, Ascanio Viarigi, è stato parte della troupe sin dal primissimo corto; uno dei nostri produttori, Jon Coplon, ha lavorato per la prima volta nel cinema con A Chjana ; il mio direttore della fotografia, Tim Curtain, era un operatore in A Chjana e
Mediterranea, e così via. Siamo certamente una troupe molto unita, e siamo riusciti nell’impresa di creare un sistema per fare film in un luogo dove, prima di noi, non esisteva. Naturalmente le persone talvolta hanno problemi organizzativi e non tutti possono essere coinvolti in ogni film ma cerchiamo sempre di lavorare con chi faceva parte del gruppo di lavoro originale. È incredibile, perché la famiglia cresce ma l’atmosfera rimane la stessa. Ci sono anche persone che dopo aver osservato come lavoriamo si tengono alla larga dal nostro approccio non proprio ortodosso. Quasi una selezione naturale.
Qual è stato il processo di creazione per la fotografia del film? Quali sfide avete affrontato?
Le riprese nella Ciambra sono state una grande sfida. E’ impossibile descrivere precisamente com’è fatta la Ciambra, ma spero che il film riesca a darne un’idea. E’ un luogo imprevedibile e ingovernabile dove tutto ciò che può succedere succede almeno dieci o quindici volte al giorno. Per fortuna eravamo consapevoli di tutto questo e quindi ci siamo dati tempo. Alla fine abbiamo girato per 91 giorni di seguito. In generale direi che le cose più difficili nel fare questo film sono state svegliare Pio al mattino e dirigere le scene con tanti bambini. Lo so che sullo schermo sono tutti dolcissimi, ma quando non avevano voglia di lavorare, accidenti… Ho conservato alcuni scene tagliate che non sfigurerebbero affatto in Burden of Dreams!
Anche per questo film hai scelto la musica pop, come mai?
Amo la pop music. Questa domanda mi è stata fatta moltissime volte durante il tour di presentazione di Mediterranea, e ripeterò quanto dissi allora: la musica pop è un comune denominatore. Non importa in che lingua parli, né da dove vieni, quando parte una canzone che tutti conoscono, tutti si trovano istantaneamente sulla stessa lunghezza d’onda, tutti si muovono con lo stesso ritmo. É il più potente mezzo per rompere il ghiaccio quando ci si addentra in mondi sconosciuti. Il fatto che Pio ed io amiamo le stesse canzoni spiega molto del nostro rapporto. Siamo nati e cresciuti in luoghi diversi, eppure quando ascoltiamo la musica ci capiamo molto meglio di quanto non faccia lui con qualcuno che è nato e cresciuto nella sua stessa città.
Persino se quel qualcuno parla lo stesso dialetto, non ci sarà la stessa sintonia se non si condividono gli stessi gusti musicali. Per questo ritengo sia importante
che lo spettatore ascolti la musica che ascoltano i personaggi. E’ un modo per entrare nel film, un modo per avvicinare il pubblico alle persone sullo schermo.
Il film si chiude con un ragazzo che diventa uomo, pagando un caro prezzo. Lo consideri un finale ottimista?
Ottimista? Nella vita cerco di essere sempre una persona ottimista, ma non voglio pensare ai miei film in termini di ottimismo o di pessimismo. Cerco di mostrare agli spettatori la mia interpretazione di com’è la vita dove vivo, ma lascio a loro il compito di decidere come sentirsi a riguardo. Sebbene i miei film non siano affatto “obiettivi,” non hanno uno scopo particolare e non il baluardo di una causa in particolare. Parlano di personaggi che si trovano in situazioni contraddittorie e conflittuali che devono affrontare la situazione nel miglior modo possibile. Anche se questo film affronta il tema della povertà, del rapporto tra diverse etnie, degli stereotipi identitari, della criminalità, ecc., alla fine è tutto incentrato su Pio, su chi è e su come io penso diventerà. Sono ottimista riguardo a Pio, il ragazzo della Ciambra, non il personaggio del film, e gli voglio davvero molto bene. Credo che se posto davanti alla scelta che deve compiere riguardo ad Ayiva, Pio farebbe esattamente come nel film. Ciò che accade è ovviamente molto, molto triste, ma alla fine non credo che lo spettatore proverà avversione nei suoi confronti. Anche le brave persone fanno cose cattive, e quando siamo con le spalle al muro è facile rifugiarsi nel tribalismo. Ci sono persone nella Ciambra che hanno commesso azioni che dal di fuori sono viste e giudicate come “cattive,” ma io penso che non siano cattive persone e ritengo che questo
film ne sia testimonianza. Dunque, proprio come per Mediterranea, ci sarà chi vedrà il finale di questo film con ottimismo e altri che lo vedranno con pessimismo. Alla fine io penso che è importante che mentre Pio agisce noi osserviamo quanto sia difficile per lui. Tutto questo ha un costo e se si è riusciti a creare una forma di solidarietà tra gli emigrati africani e i rom è stato grazie a qualcuno simile a Pio. Tu puoi essere pessimista sulla struttura sociale imposta a Pio o puoi essere ottimista osservando come lui si senta a casa e come ti faccia sentire a casa, nella comunità africana. Nessuno è perfetto e personalmente sono felice di sapere che Pio Amato sia fuori nel mondo e stia facendo la sua parte.