La scrittura può essere tante cose. Qualche volta è strumento di emancipazione, di libertà, di ribellione, di denuncia, di presa di coscienza. Distacco creativo, che si scontra ferocemente con la realtà del quotidiano. Distacco dall’opprimente società dei nostri giorni. Distacco da un’oppressione fatta di miseri sogni e grandi ambizioni.
Vaffanculo! Non riesco a sentirmi a mio agio, sono un freak di altri tempi. La mia immagine è nella mia scrittura. Scomoda, distorta, mostruosa, assolutamente da esporre in pubblico, per poi sputarci sopra.
Detesto l’ipocrisia, necessaria solo a chi ha la coscienza sporca. La mia coscienza è nera, come il fondo di un pozzo, ma non è sporca! Voglio essere il cattivo gusto che si esprime alla luce del sole. Un affronto da esiliare e deridere. Sfrontato come sono, mi mostro sempre di più, nelle deformità dell’anima; perfettamente a mio agio in quei momenti. Io sono a mio agio e gli altri si sentono a disagio. Sono deforme da dall’interno verso l’esterno. Esisto in quanto entità autonoma, oltre qualsiasi forma prestabilita o imposta. Sono la stortura che si infiltra lentamente, nello stretto spazio dell’apparente normalità, fino a mostrarne le incongruenze.
Diverso nei comportamenti e nelle attitudini. Non cerco però di essere diverso, lo sono e basta. Inusuale nel modo di agire, alcune volte però ho ceduto alle tentazioni della “normalità”, diventando un semplice fenomeno da baraccone.
Credo profondamente nella vita, nella sua casualità e nella possibilità di renderla migliore, non solo per noi stessi, ma anche per chi ci circonda. Non è necessario essere dei martiri, basta evitare le pieghe ben stirate della società, che vorrebbe essere impeccabile e poi è marcia dalla superficie fino alle profondità.
Odio la banalità. Credo ci sia una differenza sostanziale tra ciò che vogliamo far sapere di noi e quello che non si può evitare di far sapere sul nostro conto.
Una persona più ci racconta di se stessa e meno in realtà ci sta dicendo. Penso che non siano necessari grandi discorsi e neanche grandi gesti. Molti piccoli gesti nella quotidianità e il giusto numero di discorsi. I discorsi aumento il caos, invece di risolverlo, perché non intaccano in profondità, ma solo nella superficie, frantumandola in una miriade di minuscoli ed indecifrabili tasselli di sguardi univoci.
Pensieri generali, soprattutto… essenzialmente modi diversi di essere e stare al mondo, nella speranza che all’interno di una sconfinata varietà, ci sia un posto reale per ogni persona, per quanto “diversa” possa essere.
Non credo nel riscatto, nel patetismo e nella morbosità. Credo che la vera accettazione, non passi nel senso di estraneità nei confronti di chi vive ai margini, poiché si tratterebbe di una falsa accettazione, concessa come se fosse un privilegio/pietà. Credo che un’accettazione significativa nasca solo dalla partecipazione, la quale non può e non deve essere causata dalla solidarietà (spesso nutrita dai sensi di colpa di chi pensa di essere migliore), ma da un rapporto diretto e franco di fiducia.
Non posso farci nulla… il mio è un elogio della sostanza a discapito della tirannia dell’apparenza.
Uno sguardo deciso e non costruito. Ereticale e sovversivo di un ordine nel quale qualsiasi essere umano che sviluppi una coscienza non omologata e spontanea, sia dichiarato, inesorabilmente illegittimo e quindi emarginato.
Contro, non per volontà, ma per esigenza. Contro la mercificazione delle coscienze ed il ruolo simulacro delle fedi assegnato dalle poche culture dominanti.
Una lotta senza tregua, proprio contro tali culture dominanti della totalità e dell’uniformità, per una ricerca del libero individuo.
Insolente… sono insolente, non diligente, profondamente disperato e disobbediente. Randagio nella mia disperazione e nella mia disobbedienza. Accolto da pochi e scansato da molti. Ghettizzato per la sincerità con la quale reclamo speranza e autenticità. No! No ad un’umanità omologata nei gusti, nei sogni, nelle emozioni, nei rapporti.
No a qualsiasi margine o argine. Spezzare stili e modi standardizzati di essere e di agire. Che sia ancora una volta lotta, ma lotta individuale, straziante, privata. Una salvezza personale che potrebbe non portare ad una salvezza generale, ma che inevitabilmente non sarà esclusivamente personale.
(Tratto da “Gli anni del Bellavista” di Gianni Leone)