Dopo oltre due anni di «intensi» negoziati, Parlamento e Consiglio europei hanno raggiunto un accordo provvisorio – in attesa dell’approvazione definitiva dai due co-legislatori – sulla riforma dell’Emissions trading scheme (Eu Ets), il sistema di mercato adottato dall’Ue per ridurre le emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori attraverso un meccanismo di “cap&trade” che fissa un tetto massimo (“cap”) al livello complessivo delle emissioni consentite a tutti i soggetti vincolati, ma permette ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato (“trade”) diritti a emettere CO2 (“quote”) secondo le loro necessità, all’interno del limite stabilito, in modo da premiare le imprese virtuose e penalizzare quelle che non lo sono.
Ad oggi l’obiettivo è drammaticamente fallito. Ormai dal 2005 la direttiva Ets prevede che impianti in Europa con elevati volumi di emissioni non possano funzionare senza un’autorizzazione ad emettere gas serra: l’Ets copre il 40% delle emissioni di gas a effetto serra dell’Ue, ma sconta un prezzo della CO2 irrisorio. «Per indurre comportamenti virtuosi il prezzo di una tonnellata di anidride carbonica dovrebbe aggirarsi sui 20-30 euro. Ma una tonnellata di CO2 è sempre stata quotata pochissimi euro (ora è a 4,77 euro)», ricorda oggi il Sole 24 Ore. E la proposta di riforma su cui ieri è stato trovato l’accordo non va a intaccare questo peccato capitale.
«L’accordo ignora l’urgenza di ridurre rapidamente le emissioni e fornisce miliardi di sussidi all’inquinamento – denuncia l’Ong Carbon market watch – La deroga nota come articolo 10c, secondo la quale i permessi di emissione gratis possono essere concessi ai produttori di energia negli Stati membri a basso reddito (tipicamente quelli del’est Europa, ndr), proseguiranno dopo il 2020. Finora la disposizione è stata abusata con l’86% delle quote gratuite rilasciate a impianti di lignite e carbon fossile, che rappresentano sovvenzioni al carbone fino a 12 miliardi di euro entro il 2020». Come risultato finale, l’industria pesante è «destinata a ricevere permessi di emissione gratuiti che varranno fino a 170 miliardi di euro nel corso del prossimo decennio».
Com’è possibile? L’accordo prevede di concedere gratis ai settori industriali energivori 6,5 miliardi di permessi Ets al 2030, ma in questo modo gli Stati europei rinunciano a oltre 160 miliardi di euro di introiti che sarebbero arrivati dalla messa all’asta dei permessi Ets. «Non possono farlo – dichiarano dal Wwf – Mentre i negoziatori dell’Ue alla Cop23 in corso a Bonn stanno procedendo sulla strada dell’Accordo di Parigi sul clima, i responsabili decisionali dell’Ue a Bruxelles sono impegnati a pregiudicarla. L’accordo vergognoso sulla riforma Ets implica che i più grandi emettitori europei saranno pagati per inquinare, piuttosto che pagare per il loro inquinamento».
Una rapida via d’uscita da questo più che decennale fallimento in cui è incappato l’Emissions trading scheme ci sarebbe: l’introduzione di una carbon tax europea che fissi il prezzo delle emissioni di CO2 a un livello adeguato, come già è stato fatto da alcuni Stati membri; la Svezia, che nel giugno scorso ha approvato una legge vincolante che impone al Paese di divenire a “emissioni di gas serra zero” entro il 2045, già dall’inizio degli anni ’90 ha introdotto nel proprio ordinamento una carbon tax senza che la propria economia ne fosse limitata. Anzi. Dal 1990 al 2013 le emissioni di gas serra del Paese scandinavo sono crollate del 23%, mentre il Pil è cresciuto del 58%.
Introdurre una carbon tax anche in Italia pari a 20 €/t, spiega il direttore scientifico del Kyoto club Gianni Silvestrini, non solo fornirebbe un incentivo concreto alla transizione ecologica della nostra economia, ma garantirebbe allo Stato entrate pari ad almeno 8 miliardi di euro, che potrebbero essere destinate a fini sociali e/o ambientali. Un’idea che si spera possa essere accolta in vista delle elezioni ormai imminenti.
(articolo di Greenreport del 10/11/2017)