Il capitano Robinson ha un matrimonio fallito alle spalle, un figlio che praticamente non ha mai conosciuto e ora è stato licenziato dal suo lavoro di comandante di sommergibili.
Disperato, accetta una missione impossibile prospettatagli da un suo conoscente: recuperare nelle profondità del Mar Nero il relitto di un sommergibile tedesco naufragato nella Seconda Guerra Mondiale e che trasportava oro dalla Russia alla Germania di Hitler.
Missione potenzialmente suicida, da condurre in un Mar Nero stracolmo di navi da guerra russe e da tentare con un equipaggio ( per metà inglese e per metà russo, il sottomarino è russo e pare che ci sia un solo marinaio in grado di parlare inglese e russo) che sia disperato almeno quanto il capitano.
E naturalmente la vita negli anfratti angusti del sottomarino e tutto fuorché facile.
Le tensioni verranno presto in superficie mentre il sottomarino , un residuato bellico, va sempre più a fondo…
E’ assai rischioso ambientare un film quasi interamente tra le quattro pareti metalliche e arrugginite di un sottomarino che sembra attrezzato solo per una missione suicida.
Rischioso per uno come Kevin McDonald, documentarista di grido abituato agli spazi aperti e che ha deciso da un po’ di film a questa parte di passare dalle parti della fiction sempre più spesso.
E lo ha fatto in maniera robusta, magari non ha sfornato capolavori ma ha sempre fornito prove di un certo spessore.
La stessa cosa è successa con questa sua ultima opera: forte di uno script intenso ad opera di Dennis Kelly ( la mente brillante e distorta che sta dietro a una delle migliori serie tv inglesi degli ultimi anni, Utopia) sviluppa un’idea di cinema molto classico , in un certo senso anche sorprendente visto il suo pedigree artistico e quello del suo sceneggiatore.
Black Sea è un ibrido avvincente di cinema di guerra e di avventura a cui McDonald si approccia con piglio guerriero un po’ come un Aldrich degli abissi che dirige la sua sporca dozzina a spasso per le profondità del Mar Nero contro un nemico che non esiste e con fantasmi incombenti che rendono ancora più difficoltoso discernere il cammino giusto.
In realtà l’ambiente chiuso del vecchio sottomarino sovietico più che un Nautilus verniano alla ricerca di meraviglie è un campo di battaglia umidiccio in cui consumare un duello all’ultimo sangue perché la missione vera non è andare a recuperare quel maledetto oro anche a costo della vita ( e quell’ U Boot adagiato è il simbolo ultimo e supremo di una caccia al tesoro), la missione è sopravvivere alla convivenza da subito difficile tra inglesi e russi che non hanno il piacere di condividere nulla, ma proprio nulla, neanche una lingua in comune per esprimersi e potersi capire con più facilità.
O meglio c’è una specie di ponte levatoio tra i due gruppi, ma è un personaggio che muore subito accoltellato per futili motivi, per la stupidità conclamata di uno di quei marinai disperati facente parte di quella ciurma raccogliticcia assemblata dal capitano Robinson.
L’ulteriore testimonianza che il libero arbitrio è stato gentilmente concesso all’uomo solo per distruggerlo più facilmente.
L’unico che sembra conservare sale in zucca, l’unico che riesca a trovare sempre una via d’uscita è proprio lui, il comandante.
Al capitano Robinson dona volto, voce e corpo un Jude Law gonfio e disilluso, lontano dall’essere quel sex symbol con gli occhi di ghiaccio che era qualche decina di kili fa.
Ma il suo è un personaggio terribilmente cazzuto e la sua prova è matura, forse per la prima volta guardandolo in un film ho l’impressione di trovarmi di fronte a un attore fatto e finito, uno che ha trovato finalmente il suo completamento artistico.
Black Sea è un film di lupi di mare a cui hanno levato il mare,il mezzo acquatico in cui si muovono meglio ( come dice anche uno dei personaggi: sulla terraferma sono goffi come pinguini), uomini senza un perché alla ricerca dell’occasione della vita, da una certa prospettiva può essere inquadrato anche come cinema figlio della crisi economica e morale di un’umanità sempre più assoggettata al dio denaro, è un film che ha il mare nel titolo ma praticamente non lo mostra mai , visto che è una massa nera amorfa invisibile che soffoca e distrugge, è la storia di un capitano il cui peggior nemico non è un mostro marino, ma è qualcosa che ha lasciato a terra, la sua vita ormai svuotata di ogni significato per come è lontana dai suoi affetti.
Cinema bellico, di avventura, di uomini veri ma in fondo anche una storia d’amore infelice che strazia e quasi fa scendere una lacrimuccia.
Un po’ come quella fotografia che torna a galla…..
PERCHE’ SI : approccio al genere molto classico, Jude Law al suo meglio, regia eccellente, orgogliosamente vintage.
PERCHE’ NO : per qualcuno sarà dura digerire quasi due ore di film dentro un sottomarino
LA SEQUENZA : il sottomarino va a picco ma impiega un lunghissimo tempo per toccare il fondo su cui adagiarsi sorprendendo i sopravvissuti.
DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :
Non sarei mai capace di muovermi dentro un sottomarino, troppo angusto.
Mi è venuta fuori quella sottile vena claustrofobica che penso di avere sempre avuto.
Non so se è così facile non farsi trovare dalla flotta navale russa.
Jude Law mi ha finalmente dimostrato di essere un attore vero e non un semplice bel manichino.
( VOTO : 7,5 / 10 )