“Cinema è Cultura” (http://museodelcinema.org) che avrà luogo presso il Pala Dean Martin dal 1 agosto al 2 settembre 2018 porta in esposizione il maestro della fotografia Michelangelo Arizzi già collaboratore delle celebri e pionieristiche riviste “Frigidaire”, “Il Male” e “La Peste”. Una mostra fotografica “potente”per la prima volta in Abruzzo.
Valica i confini spazio-temporali la fotografia di Michelangelo Arizzi.
Una ricerca tesa tanto all’esplorazione, come riscoperta di archetipi, quanto alla riscrittura e attualizzazione dei medesimi. Echi di esperienze esoteriche e tentazioni metafisiche e surreali, postmoderne e futuriste, si rintracciano in una dialettica che scevra da condizionamenti di maniera, restituisce l’idea di icona. Partendo dallo scatto, che rimane centrale, Arizzi maneggia il linguaggio plasmandolo con elementi altri. Ricorre, come sottende la sua tecnica, al collage fotografico e alla manipolazione digitale per dare forma e sostanza ad un immaginario visivo-concettuale attraversato sotto traccia da una precisa filologia: La fotografia come diario onirico. In ciò s’impone la sua ricerca, laddove elementi apparentemente a se stanti, si evolvono coerentemente in una dialettica in cui la matrice formale è la dominante. Il punto di vista di Arizzi trova sintomatica espressione in giochi di luce e ombra caravaggeschi e simultaneamente evoca visionari rimandi pittorico letterari. L’accurata opera di recupero e citazionismo letterario, cinematografico, pittorico, di costume, di cui l’estetica si alimenta é pertanto piegata strumentalmente all’esigenza della narrazione, meta tacitamente – ma nei fatti – dichiarata dall’artista che si coniuga superbamente col porre all’attenzione. Azione di ricordo di cui Arizzi come detto s’investe e ne assume l’onere. Mediante la sua ricerca egli recupera dai troppo compressi e polverosi archivi della memoria collettiva frammenti di tessuto connettivo, certamente preziosi ma allo stesso tempo, acquisiti, per restituirli al contemporaneo. (Pier Luigi Manieri)
Una ricerca tesa tanto all’esplorazione, come riscoperta di archetipi, quanto alla riscrittura e attualizzazione dei medesimi. Echi di esperienze esoteriche e tentazioni metafisiche e surreali, postmoderne e futuriste, si rintracciano in una dialettica che scevra da condizionamenti di maniera, restituisce l’idea di icona. Partendo dallo scatto, che rimane centrale, Arizzi maneggia il linguaggio plasmandolo con elementi altri. Ricorre, come sottende la sua tecnica, al collage fotografico e alla manipolazione digitale per dare forma e sostanza ad un immaginario visivo-concettuale attraversato sotto traccia da una precisa filologia: La fotografia come diario onirico. In ciò s’impone la sua ricerca, laddove elementi apparentemente a se stanti, si evolvono coerentemente in una dialettica in cui la matrice formale è la dominante. Il punto di vista di Arizzi trova sintomatica espressione in giochi di luce e ombra caravaggeschi e simultaneamente evoca visionari rimandi pittorico letterari. L’accurata opera di recupero e citazionismo letterario, cinematografico, pittorico, di costume, di cui l’estetica si alimenta é pertanto piegata strumentalmente all’esigenza della narrazione, meta tacitamente – ma nei fatti – dichiarata dall’artista che si coniuga superbamente col porre all’attenzione. Azione di ricordo di cui Arizzi come detto s’investe e ne assume l’onere. Mediante la sua ricerca egli recupera dai troppo compressi e polverosi archivi della memoria collettiva frammenti di tessuto connettivo, certamente preziosi ma allo stesso tempo, acquisiti, per restituirli al contemporaneo. (Pier Luigi Manieri)
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