Raccontaci un po’ del tuo percorso artistico…
Scrivo canzoni da quando ero adolescente. Inizialmente le scrivevo per me e per pochissimi intimi. Non era mia intenzione cantarle personalmente.
Tre anni fa (a trentaquattro anni) ho inviato la canzone “Alfista” al Premio Fabrizio De André. Ero curioso di ricevere un riscontro.
E’ piaciuta al punto che mi sono trovato in finale all’Auditorium Parco della Musica di Roma, accompagnato da un caro amico (al piano) e da mio padre (alla chitarra), a cantarla davanti a Dori Ghezzi, alla mia mamma e ad alcuni amici. Cioè ho cantato davanti a Dori Ghezzi prima di fare un live mio: un inizio tardivo e folle. Secondo me questa è una bella storia.
Raggiungere un proprio stile e identità, quanto è importante per un musicista?
E’ fondamentale. Nelle parole, nella musica e nell’interpretazione dobbiamo mettere qualcosa di personale. E’ l’unico obbligo. Altrimenti, e mi spiace per la franchezza, abbiamo sbagliato gioco.
Quali sono i tuoi punti di riferimento?
Sono onnivoro. Amo la canzone d’autore italiana; poi il fado portoghese, le canzoni di tradizione napoletana ma soprattutto l’ispiratore di tutta la mia musica, anche se distante anni luce dalle mie canzoni: Peter Gabriel. Un aneddoto: conservo una sua dedica, è del 2006. Inviai un remix folk di Shock The Monkey in una specie di concorso per DJ sul suo sito. Una pazzia: era una cosa fuori tema e fuori stile. Mi arrivò una dedica con le congratulazioni nella cassetta della posta. È il mio Grammy, custodito gelosamente.
Cos’è la musica per te?
E’ una dimensione parallela, apparentemente distante anni luce, alla quale si può accedere gratis in una manciata di secondi. E’ il posto dove posso piangere assieme a Edith Piaf.
Quanto conta per te il testo di una canzone rispetto alla musica?
Anche se ricevo i migliori riscontri per i testi, non vedo gerarchie tra parole e musica. E’ un’alchimia. Conosco alcune grandi canzoni nelle quali il testo e la musica sono in tale armonia che sembra facciano l’amore. Roba da pelle d’oca.
Parliamo di “Storielle Dispari”, come nasce?
Ho chiesto all’amica cantautrice Veronica Marchi di curare la produzione artistica. Ha accettato e assieme abbiamo pescato un po’ dall’archivio, un po’ da idee recenti, cercando un buon equilibrio. E’ un disco curato ma essenziale, suonato da musicisti intelligenti: non c’è nulla più di ciò che serve. Di questo sono orgoglioso e grato.
Perchè i nostri lettori dovrebbere ascoltare la tua musica?
Per la mia storia. Ho cominciato a fare sul serio molto tardi, in modo anomalo ed è stato bellissimo: spero che il mio esempio ispiri gli ascoltatori a riprendere quella canzone, quel libro o chissà cos’altro han lasciato nel cassetto. Abbiamo bisogno di bellezza e di ispirazione. Un appello ai lettori:inventate, scrivete e immaginate.