La risposta nell’emergenza e nei momenti più bui che ha attraversato in questi mesi il nostro Paese, è arrivata dalla digitalizzazione. Nella sanità in primis, settore che alla luce del Covid -19 ha mostrato forse più degli altri tutte le sue fragilità. L’uso delle tecnologie applicate al web ha consentito al sistema sanitario nazionale di non collassare sotto il peso della pandemia e reggere l’onda d’urto di una delle emergenze sanitarie più importanti la storia contemporanea, sottolinea Andrea Bisciglia, cardiologo e responsabile dell’Osservatorio Sanità Digitale di AIDR. Basta guardare uno degli anelli più debilitati del comparto, la medicina del territorio. Lì, dove ataviche sono ormai le carenze, la digitalizzazione avviata spesso in tutta fretta, è stato il mezzo più efficace per garantire assistenza. È il caso del servizio di telemedicina, che ha consentito nei mesi di chiusura forzata degli ambulatori di poter continuare a monitorare lo stato di salute dei pazienti, attraverso l’invio telematico di dati. Il consulto da remoto, avviato in via sperimentale da tempo, ha subito una fortissima accelerazione, grazie all’impiego di supporti Hi tech di ultima generazione.
Strumenti di alta tecnologia e nuovi mezzi di comunicazione, per restare in contatto anche a distanza. In questi mesi di emergenza la stragrande maggioranza dei pazienti ha familiarizzato con nuovi mezzi di comunicazione digitale per poter interloquire con il medico di famiglia. I messaggi di whatsApp sono stati il mezzo più usati, certo pur sempre di fortuna, per poter ricevere la prescrizione di farmaci e medicinali. Solo qualche mese prima della pandemia, secondo uno studio condotto dal Politecnico di Milano 7 pazienti su 10 avevano dichiarato di preferire il contatto diretto con il medico, e di non essere in grado di usare i sistemi digitali. Prima del Covid solo il 12% di quanti avevano maggiore dimestichezza con i sistemi digitali utilizzava WhatsApp per le comunicazioni con il proprio medico, oggi le cifre sono altre. Certo, WhatsApp non è la panacea di tutti i mali, ma ha consentito di poter inviare prescrizioni mediche in assoluta sicurezza e a costo zero. Una possibilità prevista anche prima sia chiaro, ma a quante interminabili file abbiamo assistito nei nostri ambulatori per poter ritirare la ricetta? È davvero paradossale se si pensa che abbiamo già tecnologie adatte per poter inviare non solo al paziente, ma anche al farmacista, le prescrizioni mediche.
Affidabilità, estrema velocità di trasmissione, capillarità sono le caratteristiche principali della digitalizzazione in ambito sanitario. C’è poi un effetto secondario non meno importante, evidenziato dalla pandemia: l’ottimizzazione del servizio. Nel solco di un processo di aziendalizzazione che coinvolge il sistema italiano da oltre vent’anni, i servizi di telemedicina e le nuove tecnologie hanno dimostrato di saper rispondere adeguatamente in termini di efficacia ed efficienza. La gestione da remoto con la teleradiologia, la telemedicina, le APP o le tecnologie usate sulle ambulanze per la refertazione a distanza dell’elettrocardiogramma, elemento salvavita in caso di infarto in corso; consentono infatti la gestione ottimale del personale sanitario, rispondendo tra l’altro alla cronica carenza di personale. Si calcola che con i servizi di telemedicina si potrebbe risparmiare fino al 5% della spesa sanitaria, percentuale che sale a due cifre se si guarda nello specifico il sistema di cura per i pazienti affetti da patologie croniche. Eppure, nonostante quanto sopra sottolineato fino a marzo 2020 la sanità digitale è stata sempre terreno di sperimentazioni, lasciate alla buona volontà dei professionisti, con punte di eccellenza e ottimi risultati, mai inseriti in un disegno complessivo. Ben venga quindi la decisione del Governo di investire oltre un miliardo e mezzo per i prossimi tre anni per avviare finalmente il processo di digitalizzazione nel comparto, iniziando dal fascicolo sanitario elettronico. È necessario puntare sulla formazione del personale e adottare al contempo linee guida che siano valide su tutto il territorio nazionale, per poter dare un’unica risposta ai bisogni del paziente da Nord a Sud del Paese.