Le notizie e le immagini scioccanti che arrivano dall’Afghanistan costituiscono un vulnus nella nostra coscienza di cittadini dei Paesi occidentali che non possiamo pensare di archiviare dopo averle ammantate di parole di orrore e di dichiarazioni di sostegno. Deve esserci chiaro che se non sapremo farci carico di questa tragedia organizzando una solidarietà effettiva sarà la nostra stessa dignità a morirne.
Politicamente la ritirata dall’Afghanistan si è trasformata in una débacle da cui è difficile capire come riprendersi. L’elenco degli effetti di questa vittoria strepitosa dei Talebani – a cui Trump ha svenduto il Paese, senza che Biden rimettesse minimamente in dubbio la scelta e mentre gli Europei stavano a guardare – è lunghissimo, e i giornali di tutto il mondo ne stanno parlando diffusamente. Ne esce a brandelli la credibilità innanzitutto degli USA, ma in più ci sono il ritorno trionfale del radicalismo islamico e persino la possibilità che il terrorismo riconquisti gli spazi che aveva dovuto abbandonare, la perdita di influenza, innanzitutto per gli Americani, in tutta l’area mediorientale e asiatica, i vantaggi enormi di cui potranno godere Cina, Russia, e persino Turchia. Si tratta di un disastro totale, di fronte al quale suona offensivamente ridicolo l’affannarsi a discutere se bisogna parlare o no con i Talebani che intanto uccidono, picchiano, ricercano e catturano chiunque rappresenti un’alternativa al loro Medioevo. Ovviamene servirà l’amaro realismo degli sconfitti per tentare di capire come muoversi in questo scenario; ma forse sarebbe il caso di interrogarsi e valutare che prospettive ci si vuole dare, invece di farsi travolgere dal panico dell’impotenza e di puntare solo a tenere il più lontano possibile nel breve periodo le conseguenze dei propri errori.
Non spetta a noi Europei farci carico del processo attraverso cui dovranno passare gli Stati Uniti per affrontare questo disastro. Come sottolinea Fukuyama, la loro drammatica divisione interna si riflette nella loro politica estera priva di vera bussola; ma a noi Europei spetta capire dove abbiamo mancato e cosa dobbiamo fare, ora, per non continuare ad essere testimoni delle stesse disumanità, incapaci di assumerci responsabilità all’altezza delle nostre possibilità.
Per questo, se in questo momento è doveroso impegnarci per tamponare la situazione, prodigandoci per costruire un’alleanza internazionale che contenga il dilagare della violenza, che faccia tutto il possibile per salvaguardare le donne e un minimo della loro autonomia riacquisita, che cerchi di mettere in salvo le vite delle cittadine e dei cittadini afghani che hanno creduto nella democrazia e nella libertà e che ora rischiano di venire uccisi o schiacciati; al tempo stesso è indispensabile tracciare già la rotta per cambiare la situazione che mantiene l’UE in questo stato, colpevole, di debolezza che la rende spettatrice impotente di tragedie e orrori.
Il monito giusto è giunto sabato all’apertura del Meeting di Rimini dal nostro Presidente della Repubblica: “C’è un io, un tu e un noi anche per l’Europa e per le sue responsabilità, contro ogni grettezza, contro mortificanti ottusità miste a ipocrisia – che si manifestano anche in questi giorni – che sono frutto di arroccamenti antistorici e, in realtà, autolesionisti. … Anche da qui nasce l’esigenza di potenziare la sovranità comunitaria che sola può integrare e rendere non illusorie le sovranità nazionali. La sovranità comunitaria è un atto di responsabilità verso i cittadini e di fronte a un mondo globale che ha bisogno della civiltà dell’Europa e del suo ruolo di cooperazione e di pace. … Lo consente la riflessione in atto sul futuro dell’Europa. La Conferenza in corso deve essere occasione di ampia visione storica e non di scialba ordinaria gestione del contingente”.
Costruire una sovranità comunitaria è l’unico modo per diventare capaci di agire come Europei e smettere di lasciare il destino del mondo – e il nostro – nelle mani altrui. Ci sono cambiamenti precisi e puntuali che l’UE deve fare a questo proposito: attribuire nuove competenze e poteri reali alla Commissione europea, sotto il controllo del Parlamento europeo e del Consiglio, e modificare di conseguenza i meccanismi decisionali (abolendo il diritto di veto) e le modalità di elezione degli organi europei, perché abbiano maggiore legittimità democratica. Tra i poteri effettivi quello prioritario è quello fiscale, per potere contare su risorse proprie, totalmente indipendenti dagli Stati, con cui attuare le proprie politiche; e quello di agire direttamente almeno a livello macro nei campi di propria competenza. Tra le competenze serve immediatamente, oltre a quella macro-economica, quella sulla politica migratoria. Di fronte alla tragedia dell’Afghanistan stiamo parlando di dare asilo – peraltro si spera temporaneo – ad una classe borghese istruita, e di gestire, non nell’immediato, in modo coerente e degno di paesi civili, flussi di disperati in fuga da uno dei peggiori regimi possibili. Sentire rievocare i fantasmi del 2015, pensare di attrezzarsi con gli stessi stratagemmi, frutto della divisione e, a questo punto, dell’ignavia, è imboccare la strada della nostra perdizione morale. Questa volta c’è l’occasione e ci sono le condizioni per fare un salto politico a livello europeo, ed è solo una nostra responsabilità. Le fughe di lato, come, spiace dirlo, è quella di Armin Laschet (che recentemente in un’intervista ha invocato un’“avanguardia” sulla politica estera e di sicurezza, intergovernativa, con la Polonia e i Paesi Baltici) suonano gravemente fuorvianti. Certo, in Europa si deve muovere un’avanguardia; e in politica estera e di sicurezza inizialmente sarà intergovernativa; ma dovrà essere il prodotto di un progetto politico condiviso dal gruppo di Paesi che vogliono costruire un’unione federale e che in questo quadro fissano i termini di uno stretto coordinamento in politica estera, in attesa di attribuire anche questa competenza alle istituzioni europee.
L’Afghanistan ci costringe, come Europei, a fare un salto politico per assumerci le nostre responsabilità innanzitutto morali. Se falliremo, noi per primi non avremo un vero futuro.