Nel cuore di Roma, nel quartiere Trastevere, al Vicolo del Cinque, si trovava lì il “Manuia”: era lo storico locale frequentato dagli artisti del cinema, registi, attori, giornalisti, musicisti e molta gente comune. Lo aveva fondato Sandro Melaranci, truccatore del cinema, insieme alla prima moglie, Helena Manuia, alla sorella Lolli ed al fratello Tony.
Il Manuia, inaugurato l’1 aprile 1971, ha fatto per vent’anni la storia capitolina. Il ristorante ha ospitato Renato Zero e Franco Nero, Andy Warhol, Pino Daniele, Giorgio Albertazzi, Federico Fellini, Luchino Visconti, Valentino, Missoni, Liz Taylor, Richard Burton, Gianni Minà, Fabrizio Frizzi, Gian Maria Volontè, Franco Zeffirelli, Luciano De Crescenzo, solo per citarne alcuni.
Quella storia, che sa di cinepresa e di palcoscenico, di amori e dissidi, di voglia di divertirsi e di stare insieme, non è stata dimenticata. Sandro Melaranci l’ha raccontata in un libro dal titolo emblematico: “Manuia”. Una sola parola, un solo termine, che apre il cassetto dei ricordi e lo consegna alle giovani generazioni. Il libro, con la prefazione di Franco Nero, sarà presentato il prossimo 25 novembre, presso la Zanon Gallery, via Tor di Nona, 44, a Roma. La serata, dalle 16 alle 19,30, sarà dedicata anche ad altri libri di Melaranci: le favole dedicate al personaggio di Bia, una bambina intelligente e vivace, protagonista di storie avventurose, dal forte risvolto educativo e sociale. Una serata dedicata alla letteratura, quindi, all’interno di uno spazio artistico, dedicata ai ricordi, ma anche alla narrazione autentica di momenti e di storie di vita. Il libro di Sandro Melaranci, le storie e gli episodi che egli racconta, potranno, a buon diritto, affiancare la storia e la biografia dei grandi del cinema italiano e non solo, raccontando ciò che spesso le cronache ufficiali non contengono. Manuia – scrive Franco Nero nella prefazione era «uno di quei luoghi dove alla buona cucina si aggiungeva il calore umano. (…) Il cibo, eccellente, non era la cosa più importante del menu: la convivialità, lo stare assieme, l’unire persone di diverse provenienze (…) Manuia è la creatura più rara e foriera di belle cose che Sandro ha partorito. Quel Vicolo del Cinque a Trastevere è stato una calamita di cuori pulsanti e felici, menti fertili, anime grandi. Manuia è stato un locale che oggi è un luogo della memoria”.
Il testo scorre con un linguaggio narrativo, asciutto ed essenziale. Sandro Melaranci racconta in brevi tocchi la sua storia di vita, persino l’incontro occasionale con il vinaio che, ormai anziano, vuole lasciare la sua bottega e vuole cederla a Sandro. Sandro accetta, ma trasforma tutto: nasce il Manuia. I capitoli del libro sono dedicati ciascuno ad un episodio, ad un incontro, ad un personaggio, ma narrano anche di se e della sua famiglia. Spiccano la scena di gelosia di Liz Taylor e Richard Burton, l’incontro tra Renato Zero e il “Turchino”, Federico Fellini, che si siede a tavola, ma mangia solo un pezzo di parmigiano, Giorgio Albertazzi vittima di un paparazzo, riuscito a sfuggire alla stretta sorveglianza di Sandro, che cercava di tutelare la privacy e la serenità dei suoi ospiti. C’è poi la storia di Chet Baker, storico trombettista Jazz, con il quale ha stretto una forte amicizia e alcune esperienze professionali che descrive con affetto e malinconia.
Sempre legati alla musica, alcuni capitoli sono dedicati ai concerti che organizzava fuori del MANUIA tra i quali alcune edizioni dell’Estate Romana (settore Brasile) con ospiti di eccezione come: Joao Gilberto, Djavan, Gal Costa, Gilberto Gil, Alcione e Jorge Ben.
Il Manuia chiude quando era all’apice del successo, apparentemente senza un perché. Ma Sandro Melaranci decide di chiudere perché non voleva vederlo tramontare: “Solo l’ipotesi che potesse invecchiare, non piacere più o solo sentirlo fuori moda mi angosciava”. In questo modo ha consegnato ai posteri la storia di quegli anni ruggenti ed ha regalato le stesse emozioni vissute in quegli anni attraverso le pagine di un libro.
Il libro è pubblicato anche nella versione inglese, francese, portoghese e rumena. Perché la storia di Roma e di Cinecittà ha ancora e sempre un fascino che non tramonta, anche fuori dei confini italiani.