Vittime protesi difettose: rischiano il carcere per lesioni personali i soci dell’azienda produttrice per la protesi sanitaria difettosa
Valvole cardiache killer delle Molinette a Torino, condanne confermate. Commissiva la condotta di chi ignora i divieti Ue
Sulla salute non si scherza.
Secondo la sentenza emessa 13 aprile 2011 dalla quarta sezione penale della Cassazione che Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” segnala che, rischia l’incriminazione per lesioni personali colpose, e in prospettiva anche il carcere, l’amministratore della società che commercializza protesi sanitarie difettose al punto da richiedere l’espianto per i pazienti trapiantati.
Definitive le condanne ai soci e al procuratore dell’azienda che ha messo sul mercato le valvole cardiache utilizzate presso l’ospedale torinese delle Molinette, costate immani sofferenze a diversi pazienti
Gli ermellini hanno confermato le motivazioni della sentenza di merito che, nell’affermare la colpevolezza degli imputati, parla di «progressione causale». Nell’ambito dei reati colposi, infatti, se l’agente non viola un comando ma trasgredisce un divieto si rende responsabile di una condotta che ha natura commissiva: il giudizio controfattuale per accertare la sussistenza del rapporto di causalità fra il comportamento e l’evento verificatosi deve allora essere compiuto valutando se l’evento si sarebbe determinato anche in assenza della condotta incriminata. E nel caso delle valvole-killer delle Molinette la risposta è no. Il divieto trasgredito dall’azienda che commercializza le protesi sanitarie è incarnato dalle stringenti norme europee in fatto di sicurezza (direttiva 93/42/Ce). La progressione causale di cui parla la sentenza di merito confermata parte dall’immissione sul mercato delle valvole ben progettate ma realizzate con materiali scadenti. La sequenza continua con l’adozione delle protesi dall’ospedale piemontese e, purtroppo, con l’impianto ai pazienti e il successivo espianto cagionato dalla natura difettosa del prodotto. Ignorando gli standard di sicurezza comunitari, i vertici della società che ha commercializzato le protesi ha reso concreto il rischio della salute pubblica. E dunque vanno condannati.
Lecce, 14 aprile 2011
Giovanni D’AGATA