Nel 1764 Horace Walpole pubblicava la prima edizione de Il castello di Otranto, opera che avrebbe inaugurato il filone della letteratura dell’orrore. L’importanza del romanzo stava in una furente invettiva nei confronti del rigorismo razionale del secolo dei lumi, valori atrocemente dilaniati nella trama da incesti, omicidi e barbarie d’ogni genere. Il successo indiscusso dell’opera stimolò non solo la fioritura del genere, ma espanse i suoi effluvi sino a contaminare gli altri campi artistici. Pittura, scultura e teatro furono furiosamente investiti dai battiti animaleschi d’un genere esplosivo e anticonformista, d’un contro genere per l’appunto. Già dal 1826 un pubblico sempre più cospicuo, estasiato dai capolavori della letteratura gotica, affluiva incessantemente nei grandi teatri per gustare gli spettacoli allestiti dalle riduzioni del Frankenstein di Mary Shelley, o dal Vampiro di John Polidori. Ottanta anni dopo troviamo il cinema affacciarsi al panorama culturale europeo, oramai pronto ad issare il vessillo di una conquistata realtà culturale. L’orrore sarà il bacino portentoso cui attingeranno a piene mani numerosi registi, cristallizzando sul grande schermo le paure ataviche di milioni di uomini.
Il primo rifacimento d’un opera fanta-orrorifica, Viaggio sulla luna di Jules Verne, venne diretto nel 1902 dal celeberrimo Georges Méliès. A dieci anni dopo risale l’esordio sul grande schermo del primo mostro cinematografico ne La conquista del polo (1912), anch’esso diretto dal regista e illusionista francese e tratto dall’omonimo romanzo di Jules Verne. Georges Méliès fu l’iniziatore d’una serie d’innovative tecniche cinematografiche che avrebbero costituito il punto di partenza per i moderni effetti speciali. Fu proprio la sua “sfida” di prestigiatore e illusionista al mondo reale del cinema dei fratelli Lumière a farne il precursore dei film di genere che avrebbero imperversato negli anni ’50. Manomettendo la cinepresa riuscì a riprodurre la doppia e la tripla esplosione, l’effetto nebbia e la dissolvenza. Appare evidente il distacco operato dal francese nei confronti della tendenza molto diffusa all’epoca che vedeva il cinema come mera riproduzione della realtà, in un taglio prettamente documentaristico. Del resto fu il capostipite del cinema di genere, che oggi, diversi decenni dopo, sembra andare lentamente sfumare vista la commistione che ormai gravita sulle realizzazioni attuali. Dopo alterne fortune Georges Méliès fu spazzato via dal panorama cinematografico, stritolato dalla possente organizzazione economica delle nascenti industrie del cinematografo. L’opera pionieristica del francese avrebbe però avuto un seguito grandioso; diversi registi in Europa e America partoriranno rielaborazioni di romanzi dell’orrore per il grande schermo: tra gli altri Dottor Jekyll (1908) della Seling Polyscope Company, Frankenstein (1910) della Edison Company, e diverse proiezioni dedicate ai racconti di E.A.Poe.
Dopo circa un decennio i tempi sono ormai maturi per una piena fecondazione della narrativa dell’orrore all’interno del complesso bagaglio delle tecniche cinematografiche. Il risultato di questo gustoso amplesso sarà un prodotto di elevato spessore artistico: l’orrore sfonda nella scena culturale europea accolto in maniera superba dall’espressionismo cinematografico tedesco. Il film in qualche modo anticipatore del movimento fu Lo studente di Praga (1913) girato da Stellan Rye, mirabile congiunzione de L’uomo di sabbia di E.A. Hoffmann e del William Wilson di E.A. Poe. La storia si svolge in una Praga onirica, oppressiva, delirante, labirintica, dove uno studente consegna l’anima al diavolo pur di ottenere la mano d’una aristocratica fanciulla. Le scenografie tortuose e deformi saranno un leitmotiv dei futuri film dell’orrore espressionisti. Il 1919 è l’anno de Il gabinetto del dottor Caligari diretto da Robert Wiene, la vicenda è liberamente ispirata ai versi di Hans Janowitz, splendido poeta praghese. Le scenografie di tela pittorica, commissionate al gruppo espressionista Der Sturm, furono realizzate nel tentativo di amplificare l’effetto allucinatorio. Al fertile terreno dell’espressionismo tedesco appartiene l’esordio cinematografico del vampiro: il film è Nosferatu (1922) di Friedrich Murnau con Max Schreck e Gustav Von Wangenheim. Nonostante la sceneggiatura fosse basata sul celeberrimo Dracula di Bram Stoker, Wiene si vide costretto ad apportare alcune modifiche nella trama a causa del mancato pagamento dei diritti ai discendenti dello scrittore irlandese. E Dracula divenne il Conte Orlock.
Passati gli splendori dell’espressionismo cinematografico l’orrore non calcherà più la scena europea per almeno trent’anni (vi ritornerà negli anni cinquanta con le produzioni Hammer) ed emigrerà ad Hollywood sulla scia di parecchi artisti tedeschi perseguitati dal nazismo. Negli States una celebre casa cinematografica americana, la Universal, comprenderà la portata commerciale del fenomeno orrore e si approprierà dei miti della letteratura fantastica sfornando una serie di film che avrebbero fatto epoca. Come ebbe a scrivere Teo Mora “se è vero che il cinema, a partire dalle sue origini, si è impossessato di temi fantastici, sviluppandoli fino all’estrema coerenza artistica nel periodo espressionista, il cinema dell’orrore come genere vero e proprio nasce soltanto negli Trenta con Dracula, Frankenstein e le produzioni Universal”. A questo punto l’architettura del binomio è ormai salda ed efficace; nel 1931 prendono vita Frankenstein di James Whale e Dracula di Tod Browning, nel 1932 Dr. Jekyll e Mr Hyde di Rouben Mamoulian, nel 1934 Il gatto nero di Edgar Ulmer, e l’elenco si sarebbe ampliato ulteriormente di anno in anno. Come a dire che il seme era stato gettato diligentemente e l’humus prospero che l’aveva accolto faceva sperare in un futuro sempre più avvenente.