Gli anni Trenta costituirono per l’horror al cinema un successo senza precedenti. La settima arte conquistava fette sempre più ampie di pubblico, e il maggiore coinvolgimento creò anche i primi miti cinematografici, una versione horror del divismo hollywoodiano che proprio in quegli anni ebbe il suo periodo d’oro. Boris Karloff e Bela Lugosi, celeberrimi per le perfomance che in questo periodo li avrebbero portati ad essere due divi assoluti del genere, restarono indissolubilmente legati ai mostri che portarono sul grande schermo come Dracula (1931) e La Mummia (1932). Sono due personaggi che ancora oggi non perdono il fascino di grandi precursori nell’interpretazione delle principali figure letterarie prese in prestito e immortalate al cinema. Alcuni di loro legarono indissolubilmente il loro nome ad un personaggio, come fece Bela Lugosi con Dracula, oppure costruirono la loro carriera basandosi su estenuanti prestazioni fisiche per la sopportazione dei pesanti makeup cui venivano sottoposti per la minuziosa riproduzione dei mostri letterari come Boris Karloff. In realtà la loro storia cinematografica fu molto più complessa e variegata di quello che poi, passati i decenni, oggi si ricorda.
Bela Lugosi, indissolubilmente legato, per sua stessa volontà, alla figura di Dracula, che interpretò nell’omonimo film del 1931 per la regia di Tod Browning, in realtà fu protagonista in centinaia di pellicole dell’orrore del primo mezzo secolo di storia cinematografica americana. Durante l’ultima parte della sua carriera, ormai devastato dagli anni e dalla dipendenza dalla morfina, partecipò a tre film di Edward D. Wood Jr., un regista americano di Bmovies. Un commosso ricordo all’attore ungherese si trova anche in Ed Wood (1994) di Tim Burton.
L’evoluzione delle tecniche cinematografiche portò anche alla nascita e alla definizione di figure che fino a qualche tempo prima non erano state centrali nel processo di lavorazione filmico. Parlando di Boris Karloff appare appunto impossibile non menzionare Janus Piccolaus, in arte Jack Pierce, nato in Grecia nell’ultimo anno del diciannovesimo secolo. Arrivato negli States, pur di entrare nel mondo del cinema, fece tutta la gavetta passando dal fare lo stuntman sino al cameraman e l’attore, ma solo nel 1926 la Universal gli offrì la possibilità di realizzare il makeup per alcuni film. Sarebbe entrato nella storia come uno dei più grandi truccatori di quegli anni. Da quella data e per svariati anni sarebbe diventato uno degli artefici dei successi della prestigiosa casa cinematografica statunitense. Il trucco divenne la sua vita, ed ad ogni nuova creazione la sua arte cresceva divenendo deliziosamente perfetta, quasi volesse cristallizzare in una semplice maschera il tormento della diversità. Un messaggio chiaro e preciso in quelli che erano gli anni dell’apice dell’odio e del razzismo, che si sviluppavano in Europa sotto l’egida del nazifascismo, ma di cui non era certamente immune la società americana. In Frankenstein (1931), la creazione più strepitosa di Pierce, il greco impiegò quattro mesi per schizzare su carte un abbozzo della maschera. Ogni giorno Boris Karloff doveva sopportare quattro ore di seduta: squadratura del cranio, placche d’acciaio alle gambe, minuscoli elettrodi sulle spalle, protesi e tirature per deformare il viso. Il film venne girato d’agosto a temperature orribilmente elevate, e il disperato Karloff era costretto a girare per gli studi con un enorme imbracatura ed un sacco di carta per coprirsi il viso. Ne La Mummia(1932) il povero Boris doveva giungere negli studi in barella e subire ogni giorno otto ore di preparazione, completamente avvolto da qualche chilometro di garza bollita. Le “mostruose” interpretazioni di Karloff, aveva avuto successo con Frankenstein (1932) di James Whale e La Mummia (1932) di Karl Freund, fecero in modo che si costruisse una filmografia quasi interamente dedita ai film dell’orrore. Ma il leggiadro attore britannico, che aveva iniziato la sua carriera facendo teatro, non si esaurisce nelle creature di Pierce, ma fu anche un versatile artista in grado di calarsi in ruoli diversi. Fu interprete in diverse occasioni per Roger Corman, regista celebre, tra le altre cose, per le riduzioni cinematografiche dei lavori di Edgar A. Poe, tra cui La vergine di cera (1963) con un giovanissimo Jack Nicholson. Lavorò anche con Mario Bava, I tre volti della paura (1963), e chiuse la sua brillante carriera, non esclusivamente costituita da film horror, con Black Horror – Le messe nere (1968) di Vernon Sewell, liberamente ispirato a La casa delle streghe di Howard P. Lovecraft.