Shinya Tsukamoto ancora una volta si fa interprete delle inquietudini del contemporaneo, in un momento in cui la società nipponica ancora non ha smaltito i postumi di Fukushima e si appresta a ripristinare un esercito vero e proprio – dopo la Seconda guerra mondiale le forze armate del paese erano state declassate in un corpo di autodifesa. Il regista ribelle pensa di riadattare per il cinema il romanzo pacifista Nobi – La guerra del soldato Tamura, scritto nel 1951 dal romanziere Ōoka Shōhei, basato sulla propria esperienza di soldato di stanza nelle Filippine, dove fu fatto prigioniero, dopo la trasposizione per il grande schermo di Ichikawa Kon nel 1959, che seguiva l’analogo, e più celebre (in Occidente) L’arpa birmana. Film che riflettevano quella concezione umanista e pacifista tipica dei registi giapponesi del dopoguerra. La condizione (dis)umana del regista di Tetsuo è molto differente. L’uomo è fatto di carne pulsante, i soldati sono ammassi di materia organica pronti a spappolarsi in sostanza informe, l’umanità è rappresentata da brandelli di cadaveri, corpi amputati, maciullati e in putrefazione, teste mozzate appese a un muro. Il cinema delle mutazioni cronenberghiane del corpo di Tsukamoto, celebrato con Tetsuo, porta ora a nuove contaminazioni e infezioni, la tubercolosi e il cannibalismo di carne umana che diventa interscambiabile a quella di scimmia.
Trama: Sul finire della Seconda guerra mondiale, l’esercito imperiale giapponese nelle Filippine è ridotto al minimo. Con la disorganizzazione che regna sovrana, la situazione va di male in peggio e di fronte a tale brutalità, che rischia di far impazzire tutti quanti, il soldato Tamura prova a sopravvivere senza rinunciare ai propri principi.
(Shin’ya Tsukamoto, 87′, Giappone, 2014)
Anno: 2014
Regia: Shin’ya Tsukamoto
Sceneggiatura: Shin’ya Tsukamoto, Shohei Ooka
Musica: Chu Ishikawa
Cast: Shin’ya Tsukamoto, Lily Franky, Tatsuya Nakamura, Yûsaku Mori, Yûko Nakamura
Produczione: Kaori Saitô, Ayako Yamanaka