Raccontaci un po’ del tuo percorso artistico…
Lena A. nasce ad una serata per cantautori, nel momento in cui metto piede sul palco, suonando di spalle il pianoforte. Si articola negli anni con la presenza di Marco Lembo al contrabbasso, definendo il suono grazie all’incontro con Giovanni Carnazza. Il cantautorato pop e il jazz strumentale da una parte, l’elettronica e l’indie dall’altra; una scommessa far convivere pensieri così distanti, eppure è nato qualcosa di buono.
Raggiungere un proprio stile e identità, quanto è importante per un musicista?
Necessario come l’aria. L’identità è alla base di ogni atto e di ogni scelta, ed anche un musicista per comunicare deve muovere i suoi passi secondo un atto di identità. Lo stile poi aggiunge e connota l’identità, ma senza questa, come dice Bersani “sei solo la copia di mille riassunti”.
Hai un particolare progetto ideale e concettuale cui arrivare come massima aspirazione?
Ritengo che i progetti si creino “un passo alla volta”, senza aggrapparsi alle aspirazioni massime, poiché delle volte proprio le aspirazioni rendono fin troppo statico il percorso artistico. Mi piacerebbe ci fosse un incontro tra più arti nella mia musica, vorrei dialogassero tra loro musica, pittura, video, letteratura e mi piacerebbe suonare live portando uno spettacolo di questo genere, magari a teatro.
Perché i nostri lettori dovrebbero ascoltare la tua musica?
Perché il mio intento è quello di descrivere universalmente, con uno stile leggibilmente criptico, le emozioni umane. Voglio far ballare e riflettere, ridere e piangere, voglio smuovere l’anima, senza retorica.