Un divario di 134 miliardi di euro nel 2019 e di 93 miliardi di euro nel 2020. È stato questo il valore della perdita di gettito IVA nell’UE, fortunatamente – per così dire – in miglioramento grazie a un controllo fiscale più organizzato, a una maggiore conformità dei dati e a una significativa riduzione di errori e omissioni in seguito alla diffusione della fatturazione elettronica. Una perdita ingentissima a carico di tutti gli Stati Membri, che quindi non possono beneficiare di un introito fiscale fondamentale per garantire adeguati beni e servizi pubblici come scuole, ospedali e trasporti. Solo in Italia, sempre nel 2019, la differenza tra l’IVA dovuta e il gettito effettivamente versato è stato di 30 miliardi, ovvero del 21.3%, e di 26 miliardi nel 2020.
Per aumentare il controllo, in previsione di modernizzare i sistemi di rendicontazione IVA, nel 2020 è stata lanciata la consultazione pubblica “VAT in the Digital Age” rivolta a PMI, associazioni di categoria, piattaforme e operatori di commercio elettronico, per analizzare l’impatto dei servizi digitali legati all’IVA. In altre parole, un’occasione per raccogliere opinioni e suggerimenti in relazione a temi quali l’introduzione di obblighi di dichiarazione digitale, l’individuazione del regime IVA applicabile alle piattaforme e la registrazione unica ai fini dell’IVA nell’UE. In seguito a ciò, la Commissione Europea ha presentato lo scorso 8 Dicembre una proposta legislativa per adeguare la disciplina comunitaria in materia di IVA alle nuove esigenze dell’economia, sempre più caratterizzate da rapidi scambi favoriti dalle contrattazioni digitali.
La Commissione Europea, in particolare la Direzione Generale che si occupa della politica UE in materia di fiscalità e dogane DG Taxud (responsabile della proposta legislativa) e la Direzione generale che tratta di mercato interno, industria, imprenditoria e PMI DG Grow (responsabile delle politiche relative alla fatturazione elettronica), ha posto l’accento sull’urgenza di regolamentare gli scambi dei dati per le transazioni transfrontaliere B2B e di prevedere un sistema centrale per processare le informazioni provenienti da tutti gli Stati Membri per il corretto calcolo dell’IVA. Serve dunque una soluzione europea comune per il reporting delle transazioni IVA tra gli Stati membri – con obbligo di fatturazione elettronica tra imprese – che consenta uno scambio più rapido di informazioni e che rispetti e razionalizzi, per quanto possibile, i sistemi di fatturazione nazionali che non sono, ad oggi, digitalizzati in tutti i Paesi. E la svolta sarà l’aggiornamento del VIES, il sistema di interscambio di dati e informazioni relative all’IVA tra Paesi membri dell’Unione Europea, che riceverà in tempo quasi reale i dati elettronici estratti dalle corrispondenti fatture elettroniche standardizzate (emesse rigorosamente nel formato europeo) e processate una a una.
Non più dati aggregati di difficile lettura, non più sistemi di fatturazione incompatibili, non più lunghi tempi di processazione. I tempi di attuazione dell’infrastruttura? Entro il 2028. E ne varrà la pena. Perché l’IVA, oltre a essere una delle principali fonti di entrate di ogni singolo Stato, è anche fondamentale per il bilancio UE: lo 0,3% dell’IVA riscossa a livello nazionale viene trasferito all’UE andando a formare il 12% del suo bilancio complessivo.
E fin qui tutto bene, anche perché l’utilità degli obblighi di comunicazione digitale (i cosiddetti DRR – Digital Reporting Requirements) ai fini del controllo fiscale e del contenimento delle frodi è già stata comprovata in quegli Stati, come l’Italia, che hanno da tempo adottato la fatturazione elettronica. Si stima infatti che in questi Stati l’aumento del gettito d’IVA tra il 2014 e il 2019 si sia attestato tra i 19 e i 28 miliardi di euro, corrispondente a un aumento annuo del gettito IVA tra il 2,6 e il 3,5%, e che le azioni proposte aiuteranno gli Stati Membri a riscuotere fino a 18 miliardi di euro in più di gettito d’IVA all’anno, 11 dei quali grazie alle misure antifrode.
Ma i costi di adeguamento per le imprese multinazionali, ovvero presenti in più di uno Stato Membro? Estremamente rilevanti: la frammentazione dei modelli di obblighi di comunicazione digitale utilizzati dai singoli Stati Membri grava annualmente per un valore di 1,2 miliardi sulle multinazionali di piccole dimensioni e solo per lo 0,4 sulle multinazionali di grandi dimensioni. “In Italia, le aziende inviano già fatture elettroniche alla PA (tramite il Sistema di Interscambio), e quindi chiedere di inviare un ulteriore messaggio (estraendo solo i dati rilevanti per le dichiarazioni IVA) alle autorità fiscali potrebbe sarebbe eccessivo” afferma Carmen Ciciriello, Lead Advisor di DG GROW e già consulente in tema di servizi digitali in Commissione Europea con Celeris Group. E’ pur vero che, come riporta la Direttiva, 4,1 miliardi di euro provenienti dalla lotta alle frodi IVA verrà messa a disposizione nei prossimi 10 anni per abbattere i costi amministrativi e di conformità degli operatori UE, ma le aziende hanno già investito per l’adeguamento dei propri sistemi al formato nazionale per la fatturazione elettronica. Ora viene loro chiesto di investire nuovamente per adeguare il sistema di fatturazione elettronica ai requisiti europei. “Sarebbe plausibile prevedere un periodo di transizione durante il quale il Governo italiano potrebbe estrarre le informazioni necessarie dalle fatture elettroniche e convertirle nello standard europeo prima di inviarle al VIES, senza porre nuovi obblighi sulle imprese”.
L’attuale sistema in riferimento alle norme sull’IVA si basa su tecnologie vetuste, quindi neanche lontanamente digitalizzate e standardizzate. La proposta legislativa rappresenta quindi un’opportunità non solo per ridurre le frodi fiscali, ma anche per armonizzare lo scambio di fatture elettroniche e raggiungere la piena interoperabilità tra i sistemi nazionali a livello Europeo. Ciò detto, è auspicabile un aiuto alle imprese per reggere il peso dell’ennesima evoluzione, dopo anni di pandemia e di instabilità nazionale.