Milano, 11 settembre 1986. Suonano alla porta. Diego, dipendente della ditta di famiglia e musicista in una band, apre. Un pugno in pieno volto. Un uomo con il passamontagna si avventa su di lui. Si risveglierà in un letto di ospedale con un occhio solo e una domanda: perché?
Comincia così l’avvincente giallo dello scrittore vercellese Giorgio Gavina, che torna in libreria con Il volto della vita, pubblicato di recente da Echos edizioni di Giaveno (TO) nella collana Giallo & nero e presentato nei giorni scorsi al Salone internazionale del libro di Torino.
Classe 1971, Giorgio Gavina vive e lavora a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. Ha esordito nel 2015 con il noir L’uomo del bene e del male (Parallelo45 edizioni), seguito poi dalla raccolta Sono solo un uomo (Ilmiolibro, 2016), Il branco ha serrato le fila (Augh edizioni, 2017) e Reset. Sfida di Gerry (Augh edizioni, 2018).
Il volto della vita (titolo che ricorda una canzone di Caterina Caselli) è ambientato a Milano nella seconda metà degli anni Ottanta, prima degli scandali legati all’inchiesta “Mani pulite”. Dopo l’inizio in medias res, l’autore fa un passo indietro e presenta il protagonista Diego, l’ambiente familiare – il padre, impresario funebre, gli ha trasmesso l’amore per la musica; la madre apprensiva; il fratello più grande Franco, imprenditore rampante – e gli amici. Un’adolescenza felice nel nido familiare, tra scuola, lezioni di chitarra, serate trascorse a provare e riprovare con la band, sognando un futuro da star. Poi l’aggressione, tanto violenta quanto inspiegabile. Un tentativo di rapina finito male? Uno scambio di persona? Una vendetta indiretta? Mistero.
La perdita dell’occhio spinge il giovane in un abisso depressivo. Così, per ritrovare se stesso, si trasferisce in un paese di montagna semi disabitato. Qui trascorre una vita umbratile. Unico compagno, il cane Poe. È l’incontro con la bella Daniela a ridargli la forza di tornare in città, riprendere i contatti con la famiglia e ricostituire la band con gli amici. Soprattutto lo spinge a ricercare la verità sull’aggressione. Più va a fondo nella vicenda e più la stessa risulta complessa, fitta di trame laterali. Una ricerca densa di suspense che, attraverso un’immersione nel torbido mondo di soldi facili, droga, modelle, imprenditori di successo, malavitosi e zingari, lo porterà alla scoperta della verità. Tutte le sue certezze finiranno per essere ribaltate. Diego ne uscirà trasformato interiormente, con una maggiore consapevolezza di sé e degli altri. Come nella migliore tradizione del genere, nessun particolare o dettaglio è fine a se stesso e tutto ha una logica narrativa stringente.
L’autore descrive efficacemente la “Milano da bere”, «quel mondo che lavora di giorno e conclude affari di notte» nei party, nelle ville, nei locali notturni. Un mondo dorato, in cui il perbenismo, l’efficientismo e il rampantismo celano un sottobosco di trame opache e loschi affari. Dove convivono splendori e miserie: «Se sei stanco, assonnato o debole, basta riempirsi le narici di bamba, se te la puoi permettere. Così resti attento, vigile, eccitato e in forma. Se invece appartieni al mondo di quelli che di sogni non ne ha più, che non ne ha mai avuti, che vive con i soldi rubati, prima ai genitori e poi per strada, finisci per ucciderti di eroina comprata in qualche parco o a Quarto Oggiaro, magari usando una siringa trovata infilata in un albero che qualcuno ha lasciato lì apposta per te».
Sottotraccia scorrono il tema del rapporto tra padre e figlio, considerato uno dei motivi ispiratori del romanzo («quanti errori, convinti di far del bene, facciamo con i nostri figli?») e la passione per la musica italiana e straniera di quegli anni che pervade, con citazioni e rimandi, l’intero tessuto narrativo e fa da collante tra le generazioni. Lo stile vivace e coinvolgente, la sapiente costruzione dell’intreccio, la penetrante analisi psicologica dei personaggi e l’ambientazione metropolitana rendono Il volto della vita una lettura piacevole, intrigante e intensa.