Andate in una qualunque strada del Marocco e chiedete alla prima persona che passa se conosce Chaibia. Fate una lista di nomi di grandi pittori marocchini, figurativi o astratti, vivi o morti. Quello o quella che vi risponderà sarà determinata nell’affermare che Chaibia è la pittrice del Marocco, del popolo. Ad ogni sua apparizione l’artista distruggeva in mille pezzi l’immagine sterotipata del pittore inaccessibile, ermetico e quasi sempre “noir”. Quando Chaibia parlava la lingua del popolo, il dialetto “darija” della sua Chtouka natale, folgorava le persone presenti di meraviglia e stupore. Tutto era strabordante: la sua figura, il suo caftano, i suoi bijoux e le spiegazioni sulla sua pittura. “Io penso agli uccelli, ai fiori, agli alberi, ai matrimoni, alle donne” e continuava con un: “e sono felice con la pittura, la mia casa e i miei cani“. Chaibia popolare ma anche poco amata dall’intellighenzia artistica del Paese. Il circolo chiuso dell’arte contemporanea marocchina le ha sovente sbarrato le porte perchè lei non assomigliava a quel tipo pittura e a loro. Era ed è rimasta tutta la vita una ragazza di campagna. Sposata a 13 anni, vedova e madre a 15 anni, niente faceva pensare che in seguito sarebbe diventata una pittrice di livello internazionale. Quello che non è un sogno e proprio il sogno che fece all’età di 25 anni con una voce che esclamava di alzarsi e dipingere! Come una bambina Chaibia si procurò della pittura blu, “quella che si usava per il contorno delle porte“, e fece le prime macchie. Poi scoprì i colori, il giallo, il verde, il rosso, “i colori che parlano della vita” e iniziò a dipingere pensando a se stessa bambina quando si copriva di margherite e papaveri. La pittura di Chaibia è libera. Naïf come si usa dire. Una pittura senza regole e senza timori, che poteva osare tutto. Senza maestri, lontana da tutte le scuole e senza raccomandazioni che avrebbero inficiato la sua opera. Scoperta da alcuni amici della figlia, Chaibia mostrò le sue pitture nel 1966 in Marocco, ma anche in Europa, dove l’arte naïf non aveva più necessità di essere difesa. I visi delle donne di Chaibia viaggiarono per il mondo, nel momento in cui l’arte marocchina era balbuziente e in mano ad un pugno di artisti. Parigi, Copenaghen, Ibiza, Mentone, Rotterdam e altre capitali artistiche l’accolsero a braccia aperte. Le opere di Chaibia sono state esportate ovunque, sino all’Havana di Castro. I suoi dipinti hanno alimentato le collezioni di Stato (Francia, U.S.A., Italia, Giappone, Svizzera, Australia, India, Haiti ecc..) e le più grandi collezioni private come quella del re del Marocco. Chaibia, lei non cambiò. Gli stessi caftani, gli stessi bijoux e la stessa “darija” di Chtouka. “Io non sono mai cambiata, la mia vita è più facile ma io sono la stessa” dichiarò a M.me Nicole de Pontcharra concludendo lapidaria:”Ascolta! Non dimenticare mai che io sono una contadina“. Una contadina dell’arte che morì il 2 aprile 2004 all’età di 75 anni lasciando una preziosa eredità al popolo del Marocco e al mondo intero.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen